Il ministro Stefania Giannini ha annunciato l’investimento di 10 milioni per il Piano “La Scuola al centro”, una progetto che intende promuovere “una scuola aperta, che appartenga a tutta la comunità, dove famiglie e studenti possano sentirsi come in una seconda casa, da frequentare non solo quando ci sono le lezioni, ma anche in orario extra scolastico”; misura necessaria per il “contrasto alla dispersione, ma anche come risposta tempestiva e concreta ai fenomeni di disagio sociale che caratterizzano alcune aree del Paese” (le parole sono quelle usate dal Miur nel comunicato stampa).
Pare essere stato questo il contenuto “forte” della comunicazione che il ministro ha avuto coi suoi colleghi del G7, in una recente riunione tenutasi a Tokyo. Immagino lo stupore, se non l’invidia, che il ministro dell’educazione tedesco avrà prontamente manifestato, per non dire dell’ammirazione di quello giapponese e del suo collega statunitense.
Dietro i comunicati stampa e qualsivoglia ironia si profila uno scenario paradossale: il Paese del G7 (ma il primato va ben oltre le tradizionali potenze economiche) con i più alti tassi di abbandono e dispersione scolastica, nonché con il sistema di istruzione e formazione più in difficoltà, quantomeno sul versante della sostenibilità economica, propone come principale misura per convincere e riaffezionare i giovani che a scuola non entrano neanche il lunedì mattina un invito a vivere l’edificio scolastico anche nel pomeriggio, nel weekend e durante l’estate.
Tralasciando l’entità dello sforzo economico (pari al valore di un buon calciatore di serie B), è evidente che qualcosa non funziona nel ragionamento di fondo.
D’altra parte il titolo del programma è indicativo; ma è anche vero? Siamo sicuri che la Scuola (la maiuscola è del ministero, beninteso) debba essere il centro della vita dello studente? Gli slogan cambiano, ma l’approccio al gravissimo problema della dispersione scolastica è sempre lo stesso: ringiovanire i messaggi per convincere gli studenti a dare credito a una istituzione alla quale non credono, che non capiscono essere importante per la propria crescita e per la propria vita (questa è una delle ragioni della dispersione).
La sfida è molto più profonda (ma anche affascinante) e abbisogna di soluzioni amministrative in realtà contrarie a quelle annunciate dal ministro. La preoccupazione dei dirigenti scolastici non deve essere innanzitutto quella di conquistare i giovani “fuori” dalla scuola, ma coinvolgerli, appassionarli, quantomeno sfidarli, “dentro” la scuola, ovvero nelle mattine da lunedì a sabato. Per farlo può essere utile, per quanto non risolutivo, procedere in direzione opposta: portare i giovani fuori dalle mura scolastiche, fargli incontrare la realtà oltre il cortile con visite formative, tirocini in alternanza, contratti di apprendistato di primo livello. Per fargli così capire che l’educazione non è (solo) cosa da lavagna e libri di teoria, ma una sfida integrale a tutta la persona, perché cresca e capisca anche l’importanza della scuola. Quella vera, non le noiose esperienze pomeridiane che tanto piacciono ai burocrati e ai genitori impegnatissimi, ma poco interessano i ragazzi.
@EMassagli