Ad ottobre milioni di italiani dovranno decidere se confermare o meno la riforma costituzionale che non elimina il Senato (come pure si legge o si sente affermare in un clima già di propagandistica confusione) ma che modifica sì il bicameralismo perfetto insieme, però, ad una serie di “effetti collaterali” che andrebbero analizzati e valutati.



Ma cosa ne sanno i cittadini?

Molto poco, se è vero che persino i rappresentanti eletti dal popolo (come ahimè hanno dimostrato filmati televisivi che circolano ampiamente in rete) ignorano bellamente contenuti e persino genesi della nostra Carta costituzionale. 

E parliamo dell’essenziale, mica di valutare con appropriatezza i checks and balances che aiuterebbero a capire quelli che oggi vengono definiti, da chi la vuole rottamare, i “bizantinismi” della Carta.



Perché, ad esempio, per decretare la fine del bicameralismo perfetto bisognerebbe, per onestà intellettuale, anche parlare del proliferare dei decreti legge e del conseguente ingolfamento dei lavori parlamentari.

Ma il lettore medio di questo non ha notizia.

I recenti avvenimenti di casa nostra (dal bail in e Banca Etruria in giù e la discussione già avviata in vista proprio del referendum costituzionale di ottobre per limitarci agli ultimi mesi e per non parlare, magari, di matrimonio e unioni civili, ius soli, Schengen e movimenti migratori) hanno il pregio di riproporre la questione su cosa debba fare la scuola italiana per incentivare la conoscenza della Costituzione e delle leggi senza le quali non ci può essere la crescita della legalità, del senso civico ma anche dei meccanismi economici e della consapevolezza dei cittadini in tema di risparmio e partecipazione attiva alla vita economica del Paese.



Il recente intervento del magistrato Spataro che voleva almeno ricordare come la presenza dell’art. 21 della Carta non può impedire al cittadino magistrato di esprimersi su una riforma costituzionale che voterà pure lui, ha visto lo sviluppo di una serie di posizioni critiche che la cosiddetta opinione pubblica ha difficoltà a comprendere.

Perché se la conoscenza della Costituzione non c’è, o è approssimata, si valuta solo partendo da posizioni ideologiche preconcette.

Serve quindi studiare il diritto e la Costituzione? Non è una discussione che abbia finora appassionato i responsabili del dicastero di Viale Trastevere partendo dal ministro Moratti (2001) per finire all’attuale ministro Giannini (2016).

Sono quindici anni, un arco di tempo piuttosto vasto ed un susseguirsi di schieramenti politici (dal centro-destra per passare al centro-sinistra per terminare all’attuale maggioranza di destra-sinistra) che avrebbe dovuto, se le parole hanno un senso, produrre analisi diverse, decisioni diverse e magari inversioni di rotta.

Questo perché chi scrive è convinto che “destra” e “sinistra” siano categorie ancora utilizzabili in politica e che, perciò, dovrebbero avere elementi distintivi anche quando si ragiona di politica scolastica. 

Non è, però, quello che è avvenuto, e senza prenderla alla lontana partendo, come di solito si fa nelle ricostruzioni relative all'”educazione civica”, dall’Aldo Moro ministro della Pubblica istruzione nel 1958 e dalla decisione di introdurre una materia così denominata, si può, per comodità, dividere la storia recente in “a.B.” e “d.B.” dove le sigle stanno per “prima di Brocca” e “dopo Brocca”.

In realtà, come risulterà chiaro proseguendo nella lettura, c’è stata una continuità non casuale da parte di ministri di orientamento diverso ma praticata con pervicace tenacia persino nella scelta comune di privilegiare meccanismi (uno per tutti: le convenzioni con organismi costituiti da banche per l'”educazione finanziaria”) che servono a tener lontani gli studenti da conoscenza e consapevolezza.

Mi soffermerò sulla storia recente, il “dopo Brocca”, che è l’era iniziata con la decisione del ministero Gelmini di eliminare da licei, tecnici e professionali, riordinati nel 2010, lo studio del diritto e dell’economia, introdotto largamente dalla Commissione Brocca negli omonimi indirizzi sperimentali e che si protrae fino ad oggi, marzo 2016, con l’attuale ministero Giannini.

Lo farò partendo da due notizie recenti, una sul versante economico e l’altra sul versante giuridico, che hanno per protagonista proprio l’attuale responsabile di Viale Trastevere.

Il 26 febbraio 2016 viene firmata un’ennesima convenzione sul tema dell’educazione finanziaria degli studenti italiani fra il Miur ed un soggetto esterno al mondo della scuola, la fondazione Feduf, di cui è interessante leggere i partecipanti. Sono tutte banche anche se di tipologie diverse. E la Fondazione Feduf altro non è che l’erede del Consorzio bancario Patti chiari che ha svolto un’analoga azione sin dal 2007. Solo che la Fondazione avrà un pregio per le banche rispetto al Consorzio: costa meno, è low cost e perciò l’Abi ha sollecitato le sue associate ad una maggiore partecipazione.

Insomma non solo le banche decidono di continuare ad occuparsi di educazione finanziaria ma lo fanno anche investendo meno risorse rispetto al passato.

Banche, sempre banche e solo banche che si occupano di “educazione finanziaria”: è una novità dell’era Banca Etruria? Ahimè no! A febbraio 2016, infatti, il Miur del ministro Giannini rifà quello che aveva già fatto col Consorzio Patti Chiari il ministro Gelmini ma pure il suo successore Profumo.

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Cosa c’è di sbagliato in questa scelta di oggi? Ne ho già scritto qui, è l’Ocse che dovrebbe bacchettarci, mica i gufi antirenziani italiani. Perché sarà un po’ difficile definire, come l’Ocse suggerisce da tempo, l”educazione finanziaria” versione Feduf “offerta formativa corretta, imparziale, coordinata a livello nazionale e nettamente distinta dalle iniziative a carattere commercialeChe l’iniziativa non sia neutrale non sono certo l’unico a sostenerlo. Ci sono perfino i “concorrenti” (in questo caso consulenti finanziari) a sostenerlo apertamente

Immaginando che ci possano essere lettori che non conoscono il dato, segnalo la presenza, nei ruoli del personale docente italiano regolarmente stipendiato dal Miur, dei docenti abilitati nelle discipline giuridiche ed economiche ora pomposamente denominate, secondo la terminologia delle nuove classi di concorso, “scienze economiche e giuridiche”.

Ci sono i docenti ma non ci sono più le discipline nei quadri orari dei licei, professionali e tecnici riordinati dalla Gelmini e mantenuti inalterati dalla “Buona scuola” del ministro Giannini e, purtuttavia, abbiamo accettato di estendere le rilevazioni Ocse-Pisa alle competenze economico-finanziarie che i nostri studenti dovrebbero acquisire. Ma acquisire come? Con gli interventi spot delle banche della fondazione Feduf? Supponiamo che si voglia educare gli studenti ad un utilizzo consapevole dei farmaci: sarebbe razionale chiamare gli informatori scientifici del farmaco a svolgere questa azione nelle scuole o affideremmo questo compito magari al docente di scienze e chimica? Ma, evidentemente, bail in ed obbligazioni subordinate è meglio farle spiegare alle banche…

Questa è la notizia sul versante economico mentre quella sul versante giuridico riguarda un convegno chiuso proprio dal ministro Giannini. Lo scorso 17 marzo 2016 nell’Aula Magna dell’Università Luiss, Viale Pola 12 a Roma si è svolto il convegno “Vivere assieme nel XXI secolo: cosa può fare la scuola?”, un Quaderno realizzato dalla Associazione Treelle sul tema dell’educazione alla cittadinanza. Il leit-motiv del convegno? La tesi di fondo è sintetizzabile in un noto paradosso: l’educazione alla legalità senza le leggi. E’ una tesi che può essere ascritta alla proposta del ministro Moratti e resa operativa dal ministro Gelmini: lo studio del diritto è superfluo e non serve ai buoni cittadini. Non serve tanto che la scuola debba istruire attraverso le conoscenze e le competenze, serve piuttosto una educazione trasversale, non disciplinare, per educare gli alunni. Allo scopo il ministro Gelmini pensò bene di introdurre una non-materia, “cittadinanza e Costituzione”. E’ un unicum nel nostro ordinamento: non ha monte ore e non ha valutazione, non è quindi manco l’educazione civica di Moro. E’ un’etichetta buona per tutte le iniziative, frammentarie, disorganiche, condotte dai soggetti più diversi (la Banca d’Italia, la Guardia di finanza, il Museo X e l’associazione degli ex consiglieri regionali Y, potrei continuare e ho tutte le note e circolari che segnalano le più varie iniziative) tutti rigorosamente esterni ed estranei alla scuola, una sorta di Coalizione dei volenterosi.

Gli ultimi arruolati nella coalizione sono stati gli avvocati o meglio l’Agorà degli Ordini Forensi, con una iniziativa sorprendente. Uno penserà: e perché non vanno bene gli avvocati? Provo a rispondere: conoscete biologi del Cnr che pensano di poter sostituire nelle scuole i docenti di scienze? Avete notizia di fisici che dal laboratorio del Gran Sasso calano in massa nelle scuole per prendere il posto dei docenti di fisica? Vi risulta che i giocatori della Emporio Armani di Milano stiano girando le scuole per prendere il posto dei docenti di scienze motorie? E perché mai tecnici del diritto sì ma privi di qualsiasi competenza didattica, dovrebbero sostituire i docenti di scienze giuridiche? 

Certo non è di buon auspicio leggere recenti dichiarazioni di Giannini e Renzi. La prima ha giudicato incongruo che gli esclusi dal concorso a cattedra abbiano pensato di rivolgersi ai Tar, il secondo ha giudicato, in un intervento alla scuola di formazione politica del Pd e prima di conoscerne l’esito, uno spreco di denaro pubblico il  referendum del 17 aprile. Salvo cambiare repentinamente opinione a proposito della madre di tutte le battaglie, il referendum confermativo di ottobre.

Ai miei studenti provo, faticosamente, a spiegare in cosa consiste lo Stato di diritto. 

Poi leggo quelle dichiarazioni degli attuali responsabili della “buona scuola” e mi chiedo: ma di cosa parliamo?