Il futuro del liceo classico è alle porte: bolle qualcosa in pentola nella grande cucina del Miur?
Durante il convegno svoltosi a Milano settimana scorsa, serpeggiava tra i docenti di lingue classiche il rumor (che poi ha lo stesso significato sia in latino che in inglese) che il greco antico, gloriosa eredità del mondo antico e tra ai pochi vanti del “sistema Italia” rispetto al resto del mondo civilizzato, è destinato a divenire disciplina opzionale. A detta di tutti, una simile evenienza sarebbe in pratica come porre la firma sulla sentenza di morte per l’insegnamento della lingua di Omero, di Platone e dei vangeli.
Tanto la diceria era potente (e si sa, come ventila la famosa aria rossiniana, la calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile…che poi produce un’esplosione come un colpa di cannone!), il professor Maurizio Bettini, noto antropologo dell’Università di Siena, ci ha tenuto a smentire questa voce che circolava nel consesso di 300 docenti convenuti da tutto lo Stivale: egli non è certo a favore dell’opzionalizzazione dell’insegnamento della lingua greca, poiché la sua posizione personale sulla riforma della seconda prova di maturità classica (la classica versione) non è da confondersi con questa messa al rogo del greco antico.
C’è in realtà molta confusione al Miur e molto sconcerto nell’opinione pubblica: lo stesso Bruno Vespa aveva scritto a favore dell’abolizione della lingua greca al classico nel 2012.
Un altro fatto sconcertante è il seguente, se è vero che il buongiorno si vede dal mattino: l’ex ministro Luigi Berlinguer viene invitato al convegno e legge un messaggio del capo dello Stato, Sergio Mattarella, rivolto per mezzo della sua persona ai partecipanti. Lo stesso Berlinguer evidenzia in modo esplicito e un po’ imbarazzato l’incongruenza data dal fatto che il presidente della Repubblica si rivolge a lui, nel messaggio diretto ai docenti di greco e latino, come “Presidente del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica”. Ma che c’entra? Ma che musica dobbiamo ascoltare noi docenti…?
Le successive parole di Berlinguer, poi, sono chiare come le acque del fiume Stige: la versione di maturità va cancellata, anzi l’insegnamento della lingua greca andrebbe trasformato nell’insegnamento generico e generalista di “civiltà classica”. Scatta l’applauso di un gruppo traversale di docenti, che poco — a mio modesto parere — hanno capito cosa bolle nel grande calderone dell’intelligencija italiana politico-ministeriale, capace di scegliere per la maturità di qualche anno fa un passo “intraducibile” come quello di Aristotele!
Chi dunque salverà il greco? E chi potrà tenere dritto il timone della sgangherata nave della classicità che naviga tra le perigliose acque delle pseudo-riforme di burocrati del Miur, delle mini-riforme di presidi avventurieri, di docenti traduttor dei traduttori, di giovani disinteressati, di accademici preoccupati di veder antologie di autori greci (già tradotti) a detrimento di grammatiche di lingue classiche?
Tra gli interventi del convegno spicca l’orazione di Alessandro D’Avenia che giocava in casa per così dire: egli infatti si è laureato alla Sapienza di Roma e si è addottorato all’Università di Siena, i cui atenei hanno mandato una folta delegazione al convegno ospitato al Politecnico di Milano.
Sottolineo a latere che vedere seduto tra il pubblico un ordinario di letteratura greca dell’Università di Milano, allievo del compianto professor Dario del Corno, è stato per me, laureato presso la Statale di Milano, avvilente… non sarebbe stato più giusto che un suo autorevole rappresentante fosse annoverato tra i relatori? Misteri italiani.
Ma se torniamo a D’Avenia, che impersona chi si interroga sul senso eterno dell’esistente contro il logorio della vita moderna, osservo che è stato veramente simpatico: molti studenti (maggiorenni) lo hanno interrogato sul proprio futuro alla luce degli insegnamenti forniti da un corso di studi come il liceo classico. Il filo conduttore delle risposte di D’Avenia, bianche come il democristiano che è in tutti noi e rosse come il comunista che è — in fondo in fondo — in tutti noi, era la tesi pirandelliana ben sintetizzata quasi un secolo fa dal critico Tilgher: il cosiddetto contrasto tra vita e forma, ossia tra ciò che ciascuno di noi è autenticamente e ciò che la società, nelle diverse emanazioni, impone all’individuo di diventare; ma se questo dilemmatico dissidio viene calato alla realtà degli adolescenti di oggi e nella società social di oggigiorno, D’Avenia propone che sia la vita stessa ad acchiappare i giovani e non viceversa, ponendo ascolto alla sua multiforme voce… Ma, senza proseguire in cose che nessuno sa meglio di D’Avenia e leggibili nei suoi best-seller, rimane memorabile il suo tentativo di far leggere i classici ai giovani in sostituzione di riassunti, commenti, annotazioni di seconda mano. Egli, quando insegnava alla scuola media in prima, faceva leggere tutta l’Odissea, come fa leggere ai suoi alunni di prima superiore in un liceo prestigioso della borghesia milanese. Egli è come il redivivo Omero e legge in traduzione le parole alate delle gesta eroiche, mentre tutti gli alunni sono seduti intorno (i banchi infatti sono stati da lui definiti “trincee”) come se tutti si fosse catapultati nel megaron di un palazzo acheo. La cronistoria del Convegno potrebbe proseguire…
Secondo Ovidio, poeta raffinatissimo e relegato per ordine di Augusto in un paesello della periferia del suo immenso impero, Ennius ingenio maximus, arte rudis (Tristia. II 424). Secondo la testimonianza di Gellio, Ennio soleva affermare di avere “tre anime” (tria corda), perché “sapeva parlare in greco, in latino e in osco”.
Quale sarebbe la morale dell’incrocio di queste notizie erudite per noi docenti di lingue classiche che ci interroghiamo sul futuro di un liceo che, dal 2007, ha dimezzato le iscrizioni attestandosi su un 6 per cento a livello nazionale?
Ecco, la risposta è alquanto bizantina: un liceo classico futuribile esiste già dal 1993, ovvero il liceo classico europeo. Io infatti propongo una sua riorganizzazione per dare ai ragazzi di oggi i tria corda delle lingue moderne e antiche anche a discapito dell’ars (ovvero tutto il bagaglio letterario-linguistico offerto solitamente nel quinquennio del classico) di cui Ovidio rimproverava Ennio: ingegnoso poeta, ma scarso quanto ad abilità tecnica. Altrimenti, nel volgere di pochi anni, il greco e il latino saranno ovidianamente esiliati dagli stessi studenti e dalla società moderna, e ai docenti delle lingue morte non resterà che leggere i Tristia del raffinatissimo poeta.