Tutti ricorderete il travolgente finale della novella di Pirandello “Ciàula scopre la luna”, quando il caruso storto e mentecatto, col suo pesante fardello sulle spalle, esce pieno di paura dalla caverna sotterranea e resta estasiato, a bocca aperta, a contemplare la luna. “C’era la Luna! C’era la Luna!”. E questa scoperta lo commuove, mette in fuga ogni suo timore, riempie la notte di stupore.



C’era la Luna! Ecco, vorrei che nelle schede che noi insegnanti dobbiamo compilare, ora che si giunge al termine dell’anno scolastico, al posto o, concediamolo pure, accanto alle voci conoscenze, abilità e competenze ci fosse proprio la domanda: “C’è stata la luna?”. E vorrei che noi insegnanti fossimo invitati a riempire questa voce così poco ministerially correct (mi si passi il brutto neologismo) dichiarando il numero delle volte in cui abbiamo visto il riverbero della Luna negli occhi dei nostri studenti. Quante luci negli occhi ho visto brillare? Quante volte l’aria stanca e consumata dell’aula scolastica si è riempita di stupore? Quanti Ciàula abbiamo conosciuto?



Perché, diciamocelo, i ragazzi sono come il caruso storto e mentecatto di Pirandello (in realtà lo siamo davvero un po’ tutti): chiusi in una caverna sotterranea. Che per loro è la caverna della moda (l’unica evidenza rimasta, ha detto qualcuno), del selfie e dei like sul social network, del campionato e del calciomercato, del giochino idiota che ti riempie le ore vuote della giornata… Ed è diventato molto difficile tirarli fuori da lì e fargli respirare un’altra dimensione, più grande, più rispondente al cuore, ma meno immediata e più impegnativa. E’ difficile perché c’è la paura del cambiamento e c’è come un pregiudizio di fondo, lo stesso che bloccava Ciàula sul limitare della soglia, quello che lo paralizzava, che non gli faceva fare il passo decisivo.



Prendi lo studente cosiddetto “serio”, quello che ha la pagella impeccabile. Anche lui è come Ciàula: bloccato dalla paura, dal chiodo fisso del bel voto, dalla pretesa di ottenere sempre il massimo, dal successo di fronte alla famiglia e all’umanità tutta. Dio, solo a pensarci viene da soffocare! E quando mai l’incontri, la Luna, in queste condizioni? Che si tratti del menefreghista, del “galleggiante” o del secchione, l’essenza non cambia, sono tutti alienati che non sanno rispondere alla domanda più semplice e disarmante del mondo: “Chi te lo fa fare?”. La stragrande maggioranza non esce mai dalla caverna e non incontra la Luna.

E noi insegnanti, se non siamo dei Ciàula cavernicoli anche noi, abbiamo il compito di ridestare l’uomo imprigionato. Perché quando uno studente arriva a capire la frase del povero caruso pirandelliano, quando finalmente gli si accendono gli occhi e gli si colmano di stupore, allora sì possiamo dire di essere davvero soddisfatti del nostro lavoro. 

Oggi un ragazzo ha tremato di stupore davanti a un verso, a un’immagine, a una scoperta. Bene, metti la spunta sulla tua schedina personale, docente, perché il miracolo è avvenuto. Magari sarà poco ministerially correct, però quella luce è l’unica cosa che resterà al termine di una giornata, di un anno di scuola, o addirittura di tutto un ciclo scolastico.

Ciàula “scopre” la luna. La conoscenza è una scoperta fatta con stupore. Non basta avere “inteso”, dice il grande padre Dante, senza il “ritenere”. Non basta capire: bisogna letteralmente “portarsi via” qualcosa, cullarselo dentro, per non perderlo più. Quante volte abbiamo concretamente favorito questa scoperta? Quante volte vi abbiamo accompagnato i nostri ragazzi? Quante volte ci siamo anche solo posti questo problema, questo obiettivo mentre “facevamo” il programma? Vorrei interrogarmi su queste cose molto serie, molto serie e importanti, alla fine di un anno scolastico. Non credo che vi siano domande più necessarie di queste.

Conoscenze, abilità, competenze… un robot può arrivare a possederle al massimo grado. Diverso è il caso della luce negli occhi: quella è imprevedibile, improgrammabile, in una parola: umana. Ma quella, noi docenti, non siamo tenuti a dichiararla. Quasi come se non valesse neppure la pena di metterla a tema.

La luce che brilla negli occhi ha a che vedere con lo stupore di Ciàula davanti alla notte lunare. Lo stupore non è quantificabile, perché è una questione di qualità, non di quantità, è di un ordine diverso, è un prodigio, un “novum” che accade. “Solo lo stupore conosce”, ebbe a dire San Gregorio di Nissa più di milleseicento anni fa. Questo grande vescovo e teologo aveva ben chiaro qualcosa che la nostra “buona scuola” che guarda al futuro non sembra tenere nel dovuto conto. In questi anni abbiamo parlato di digitalizzazione, di aule informatiche, di Lim, di inglese nelle scuole, di alternanza scuola-lavoro, di presidi-manager, di qualità dell’insegnamento, ma non di stupore. E’ il grande assente, pur essendo strettamente legato alla conoscenza.

E lo stupore non è qualcosa che riguarda solo i nostri studenti. E’ qualcosa da mettere a tema tra gli insegnanti, perché è molto più facile che il prodigio accada, se c’è chi già vive quello che insegna come un prodigio. Insomma, per concludere, vorrei che il grande assente tornasse tra noi, tra i banchi di scuola, nelle aule professori, ma dichiarato o quanto meno desiderato come obiettivo, non appena presupposto.

E’ un “volere la Luna”? Forse. Ma si può pretendere la Luna? Forse no. Però che bella avventura stare a fianco di Ciàula quando esce dalla caverna e rimane a bocca aperta nella notte “tutta piena del suo stupore”!