Si può ormai dire che la legge 107/2015 o della Buona Scuola, varata dal Parlamento nel luglio 2015, abbia ufficialmente cominciato la sua “baldanzosa” marcia, incurante delle proteste levatesi compatte da quell’universo scolastico resistente, si sa, a qualsiasi tipo di innovazione e cambiamento.

Diceva Papa Francesco a Firenze nel novembre scorso che “Oggi non viviamo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”. Difficile trovare affermazione più pertinente di questa, per descrivere lo scenario che agita di questi tempi la scuola italiana.



A ben guardare infatti, negli ultimi 20 anni, sono stati frequenti — anche se per la gran parte fallimentari — i tentativi di riforma nella scuola italiana. La Buona Scuola sembra invece possedere tutti quei requisiti che le consentono di camminare a grandi passi verso una piena attuazione. 

Al centro del provvedimento l’autonomia scolastica, che fornisce ai dirigenti strumenti finanziari e operativi per la sua realizzazione. In sintesi potremmo elencare, senza la pretesa di esaurirli, alcuni dei punti che maggiormente la qualificano: 1. un’offerta formativa più ricca e flessibile per gli studenti; 2. un piano straordinario di assunzioni per oltre 100mila insegnanti; 3. risorse stabili per la formazione e la valorizzazione dei docenti; 4. Investimenti ad hoc per laboratori e digitale.



Operativa dall’anno scolastico che sta per chiudersi, la 107 ha dato il via libera ad un piano straordinario di assunzioni, consentendo così di coprire le cattedre vacanti e di creare il nuovo organico dell’autonomia. 

Ogni scuola, già in apertura d’anno, ha dovuto fare i conti con questa imprevista complessità, mobilitarsi per rispondere alle scadenze imposte dalla normativa che, varata il 13 luglio, era da subito entrata in vigore. 

Nessuno in fondo ci credeva veramente che questa volta il Governo “facesse sul serio”. Quando però ad ottobre ogni docente si è trovato — caricati sul cedolino del proprio stipendio — 500 euro da spendere entro l’anno, purché ne documentasse l’utilizzo, anche i più scettici hanno cominciato a pensare come spenderli, rinunciando a scoprire dove si celasse la trappola dell’ennesima fregatura…



Poste tali premesse, torniamo allora a quel cambiamento d’epoca cui ho fatto cenno in apertura: perché mai la Buona Scuola ne segnalerebbe la presenza? Siamo proprio sicuri che non si tratti di cambiamenti sì, ma a ben vedere della stessa natura di quelli che, nel tempo, li hanno preceduti? L’interrogativo è legittimo e tenterò di rispondere utilizzando dei fatti, ben sapendo che “la vera sfida è di natura culturale e il suo terreno è la vita quotidiana”.

Il primo fatto riguarda l’arrivo a scuola di un nuovo collega di educazione musicale assunto nelle file dell’organico potenziato. Che farsene? I docenti di questa disciplina già li avevamo… Lo si utilizzerà per le supplenze. E invece… no! Il giovane è cantante di talento con un’energia comunicativa decisamente superiore alla media; inizia ad affiancare il docente titolare, supportandolo con indubbia efficacia. I ragazzi apprezzano il nuovo prof e ne sono conquistati.

Diego li raduna, comincia a farli cantare, organizza un coro, tenta con successo il recitativo de L’Elisir d’amore di Donizetti; coinvolge pure la scuola primaria, visto che è capitato in un istituto comprensivo. Mette in piedi tre pomeriggi musicali cui sono invitati alunni e genitori e vengono chiamati a collaborare anche i due docenti titolari di musica della scuola secondaria: mai e poi mai, per temperamento e storia, i due proff. avrebbero pensato di poter lavorare assieme. Diego, senza saperlo, ha compiuto il miracolo. 

Il secondo fatto ha per protagonista il supplente annuale di tecnologia: 50 anni all’incirca, moglie e figli, non ancora di ruolo, è riuscito anche quest’anno a farsi assegnare al nostro istituto. Appartiene alla vecchia generazione “non digitale”; scarsa, per non dire nulla, la sua conoscenza dell’inglese. Alle spalle anni di esperienza come docente nella scuola secondaria di primo grado. Si iscrive al concorso: o la va o la spacca! Che dignità e che energia le sue: misurarsi con una prova che certo non lo favorisce malgrado la lunga esperienza di insegnamento. Parte per Desenzano del Garda la sera prima del giorno fatidico fissato per la sua classe di concorso: mica può arrivare in ritardo ad un appuntamento così decisivo. Ci ha provato dunque e non con la rassegnazione dello sconfitto, ma con la voglia di mettersi in gioco — perché no — anche a 50 anni.

Il terzo fatto focalizza l’avventura del neonato comitato di valutazione, esso pure previsto dalla legge 107. Mai prima d’ora si era potuto anche solo pensare alla valutazione del docente! La Buona Scuola è arrivata invece ad istituire un fondo da 200 milioni l’anno, destinato alla valorizzazione del merito proprio del personale docente. Ogni anno il dirigente scolastico assegnerà questi fondi ai suoi insegnanti tenendo conto dei criteri stabiliti, in base a linee guida nazionali, da un apposito nucleo di valutazione. È stata dunque una “manovra” impegnativa, quella della mia dirigente, finalizzata alla individuazione, all’interno del collegio, di qualcuno disposto a questa funzione delicata e complessa. Nessuno infatti vorrebbe trovarsi a dover “valutare” un collega, tanto più se — come noi — si è cresciuti con una mentalità di derivazione sessantottina. Una manovra difficile quindi, che ha “promosso” però la mia dirigente a leader educativo vincente della nostra scuola. Con una pratica di sana e intelligente attribuzione delle responsabilità, ha saputo infatti, nel corso dell’anno, mettere in campo la “sua” squadra, individuando quei docenti con il curriculum più adatto a realizzare il progetto formativo triennale dell’Istituto (il Ptof).  

Organico potenziato, concorsone, dirigente “leader educativo”: tre fatti che documentano un, sia pur iniziale, cambiamento d’epoca

Non tutti certamente hanno accettato la sfida, ma sono sempre più ridotte le sacche di resistenza. C’è un vento nuovo che si respira a scuola, un vento non ideologico, capace di spazzar via lo scetticismo asfittico di chi si ostina a ripetere che… “è impossibile!”.

Contro questo scetticismo — ci diceva recentemente un amico — non dobbiamo lottare in astratto: dobbiamo piuttosto vedereguardare in faccia quei fatti che, tale scetticismo, consentono di contrastare. Spesso questi fatti sono riconoscibili proprio nei volti di chi ci vive accanto: in famiglia, al lavoro, tra gli amici. 

Nella scuola questi volti si configurano oggi come generazioni a confronto: giovani docenti entrano in un mondo spesso cristallizzato da un atavico immobilismo. Con la loro semplicità, scevra da pregiudizi, possono ridestare domande sopite rompendo schemi consolidati che nessuno prima d’ora era riuscito a scalfire. Per contro, l’esperienza maturata in anni faticosi, ma produttivi e fecondi di qualche professore alle soglie della pensione può costituire un punto di riferimento originale e prezioso.

Si tratta di imparare a guardare secondo una prospettiva che si palesa lentamente, piano piano, mostrandoci come “ciò che apparentemente è piccolo, risulta — pensandoci bene — la cosa veramente grande” (Cfr. J. Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, p. 306).