Lo scorso autunno Raffaela Paggi mi raccontava di alcuni studenti con disturbi specifici dell’apprendimento che stava aiutando per italiano. Mi diceva che lavorando con questi ragazzi si rendeva conto dell’importanza di due cose, per lei irrinunciabili: occorre, in primo luogo, che l’apprendimento sia un’esperienza di senso. Cioè “imparare” deve significare sempre “capire” qualcosa, ragionare, per quanto possibile a ciascuno. Non solo, dunque, essere in grado di eseguire meccanicamente o applicare delle procedure standard, ma fare un passo avanti nella comprensione della realtà che ci circonda. Secondo aspetto: la scuola è un’esperienza di fatica e di lavoro, ma deve dare anche gioia e soddisfazione. E, mi diceva Raffaela con molta convinzione, questo vale per tutti, non solo per gli studenti “più bravi”. Tutti dovrebbero poter sperimentare quanto è bello imparare qualcosa di nuovo. Questa è, per Raffaela, la scuola.
Direi che, dalla prima all’ultima pagina del nuovo volume di Raffaela Paggi, si respira questa atmosfera: si riconosce il desiderio di offrire ad ogni studente un incontro con la grammatica che sia “esistenzialmente significativo”. E pure bello.
Spieghiamo perché, partendo da un’osservazione comune: di solito, quando qualcuno ci comunica che ci troviamo nell’obbligo di eseguire qualcosa, la nostra reazione naturale è chiedere: “E perché?” (Devi pagare questa nuova imposta! — E perché?!, oppure: Ma no, le banane non devi metterle in frigo! — E perché?!). E’ nella natura dell’uomo di non sopportare una regola imposta, a meno che non sia giustificata e non ci appaia pertanto in qualche modo ragionevole. Un dovere senza fondamento riconoscibile suscita ribellione piuttosto che adesione.
Eppure, quando si tratta di grammatica, sembra che questa dinamica intrinseca si spenga: la regola imposta e immotivata finisce per prendere uno strano sopravvento. Non si sa bene come né perché, in grammatica ci troviamo ad accettare una serie di regole astruse, fatte nostre “perché sì”. La grammatica di solito si impara così, in un modo che mortifica la ragione e il suo bisogno imperioso di capire. Come capita purtroppo anche ad altre discipline, la grammatica diventa a poco a poco il “regno della regola non giustificabile”, venendo a costituire un mondo a sé, separato dalla nostra esperienza reale e dal modo in cui funziona normalmente la nostra ragione.
Questo effetto è potenzialmente devastante, perché induce a dare per scontato che, in certi ambiti un po’ misteriosi, sia normale accettare di non capire e obbedire alla cieca, andando dietro a qualcuno che, a sua volta, non sa il perché di quello che fa. Il libro della Paggi ha l’inconsueto potere di resuscitare la curiosità (la ragione!) davanti ai fatti linguistici. Si prova, nello scorrere le pagine, la sensazione, molto gradevole, di essere più veri, perché tutti quei “perché?” non solo vengono accolti, ma anzi in ogni modo l’autrice ci incoraggia a porcene di nuovi e di diversi, senza la pretesa di rispondere a tutti, ma mostrandoci quanto è bello capire… persino la grammatica!
Certo, l’idea di usare questa grammatica nella scuola secondaria di primo grado è molto ambiziosa, vuoi per le dimensioni dell’opera vuoi per la profondità con cui vengono affrontate questioni teoriche abbastanza complesse. Molte parti saranno senz’altro utili al docente, per ravvivare la propria curiosità personale e diventare così un “testimone vivente” di questo modo di fare grammatica. L’alunno potrà essere guidato alla scoperta del metodo, grazie anche al ricchissimo eserciziario, in modo che sia proprio la sua curiosità risvegliata a cercare una risposta alle domande che si porrà. Ma certamente, nascendo dal lavoro condiviso con colleghi e amici, questa grammatica raccoglie un enorme coacervo di esperienza in classe e quindi una saggezza didattica maturata negli anni.
Dal punto di vista delle sue fonti, il lavoro della Paggi si àncora molto solidamente alla teoria linguistica sviluppata da Eddo Rigotti, del quale l’autrice è stata, peraltro, allieva nell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Di Rigotti si ritrova il gusto della realtà, la consapevolezza che il linguaggio “funziona” nel crocevia tra ragioni (al plurale, perché si parla insieme agli altri) ed esperienza, per condividere senso e creare consenso. Attraverso Rigotti entrano nel lavoro della Paggi i maggiori contributi di questi cent’anni di linguistica contemporanea, da Saussure ad oggi, ma anche temi e grandi scoperte dei pensatori occidentali antichi.
Alcune tematiche sono trattate in termini tipicamente rigottiani, per citarne alcune pensiamo per esempio all’idea di “comunicazione verbale” intesa come interazione strettissima tra la dimensione propriamente “verbale” (le parole) e tutto il “non detto” contestuale al quale il discorso allude, si aggancia, rimanda: si tratta del fatto che il discorso parla della realtà e senza di essa perde inevitabilmente senso.
Un altro tema inconfondibile è la trattazione delle parti del discorso, intese secondo il significato originario dell’espressione: ogni “parte del discorso” è tale per la sua caratteristica propensione a svolgere particolari funzioni entro il testo. Altro grande tema, quello della composizionalità, sotteso a tutto il lavoro, che diventa la chiave di lettura per la gran parte dei fenomeni verbali e comunicativi in tutti i livelli del sistema linguistico, dalla fonetica all’organizzazione testuale.
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Raffaela Paggi, Luciana Albini, Daniele Ferrari, “Nel suono il senso. Grammatica della lingua italiana ad uso scolastico”, 2 voll. (teoria ed esercizi), Itaca 2016.