Nel dibattito sulla scuola aperta assistiamo, come sempre, allo scontro di tutti contro tutti ed il guaio è che tutti hanno un po’ di ragione. Ha ragione il ministro, ma ha ragione anche qualche commentatore, e anche qualche lettore che appoggia in qualche modo la mia tesi pluridecennale circa il gigantismo del curricolo scolastico italiano.



Ovviamente il primo a fare chiarezza dovrebbe essere il ministero, precisando per quali attività, svolte da chi ed in quale rapporto col curricolo dovrebbe essere sempre aperta la scuola.

Da anni io combatto contro il gigantismo del curricolo italiano rispetto a quello europeo (1100 ore annue  contro 800 per 13 anni anziché 12) ma è un grido destinato purtroppo a cadere nel vuoto. Insieme a questa tesi però ho sempre sostenuto che la scuola, come edificio posto in un ben preciso territorio, è il più naturale dei centri di aggregazione dei giovani e delle famiglie.



Nella scuola italiana, scuola = classe. Se l’alunno è a scuola è nella sua classe, con i suoi soliti compagni ed i soliti insegnanti.

Ma facciamo il caso che tre alunni della superiore si accordino per studiare insieme nel pomeriggio o fare i compiti con l’aiuto di un docente disponibile o di un volontario: dove vanno? Non certo a scuola, dove i bidelli devono finire il turno, dove l’assicurazione dà copertura solo alle attività programmate, eccetera.

L’edificio scolastico oggi è purtroppo solo un contenitore di classi e non un contenitore di attività culturali e sociali del territorio a disposizione di alunni e famiglie. Attività già presenti nella realtà perché i comuni, ad esempio, spesso organizzano attività estive nei mesi di vacanza per gli alunni del primo ciclo. Queste attività sono attuate usando gli edifici ed i giardini scolastici. Sono molto richieste dai genitori pur essendo a pagamento ad un costo che si aggira intorno a 10 euro al giorno per i non esenti.



Quante volte ho svelato la cattiva coscienza dei tempopienisti che pretendono il tempo pieno in quanto aiuterebbe i genitori, sottolineando che due genitori che lavorano non vanno in vacanza tre mesi l’anno e nemmeno terminano alle 16.30 di lavorare. Ma ha ragione anche Messagli, quando sottolinea che una scuola stimolante dev’essere centrata non su se stessa ma sul mondo reale.

Ora, tutte queste ragioni sarebbero facilmente componibili accettando ciò che in tutta Europa è normale, e cioè la distinzione tra attività obbligatorie ed attività opzionali.

L’insegnante danese al quale ho chiesto lumi sull’organizzazione scolastica nei paesi baltici mi raccontava che le ore obbligatorie in Danimarca erano 18-20 alla settimana, ma che lei si iscriveva a tutte le attività opzionali perché aveva l’asma e non voleva stare a casa o in giro a giocare. Così arrivava a fare anche più di 30 ore settimanali. Ma era una scelta sua e della sua famiglia e riguardava un certo periodo e non tutto il ciclo scolastico. Diceva anche che l’ansia da prestazione vista in Italia da loro era impensabile.

Quindi per fare chiarezza bisogna uscire dalla genericità che impera nel dibattito scolastico. Personalmente penso che il curricolo obbligatorio, cioè il lavoro a classe intera stabilito dall’ordinamento e dai programmi statali, non dovrebbe superare le 800 ore annue e vedere al massimo 4 ore di lezione consecutive.

Le vacanze interne a questo curricolo base dovrebbero essere meglio distribuite, magari copiando dalla Francia dove ogni 6 settimane di scuola ce n’è una di vacanza e riducendo la lunga pausa estiva.

Si dovrebbe fare anche chiarezza contrattuale laddove il docente statale è tenuto alla presenza a scuola solo se ci sono lezioni o esami e quindi, ad esempio, l’insegnante di religione che non ha esami ha esattamente tre mesi di vacanza come i docenti elementari. Nelle superiori vale lo stesso discorso, con differenze enormi tra insegnanti dei primi e degli ultimi anni.

Con la clausola attuale l’insegnante è a scuola solo se c’è la classe. Ed anche se ha consumato le ferie non può essere convocato, nemmeno per riunioni o programmazioni o verifiche se ha già consumato le specifiche 80 ore annue.

Non intendo ora incitare ad un maggiore lavoro dei docenti, anche se più volte ho chiesto la creazione del docente full time ben pagato e presente a scuola tutto l’anno, escluse festività e ferie, per 36 ore settimanali di cui 18-20 ore di lezione o con diversa presenza di alunni e le altre di organizzazione.

Prima che grandi riforme contrattuali statali maturino, la centralità dell’edificio scolastico, carico di familiarità e di comodità per gli abitanti di un comune, deve e può essere valorizzata, tutto l’anno, ed oserei dire anche la domenica.

C’è stato un periodo in cui nella mia scuola avevo fino a 45 volontari che svolgevano attività opzionali di ogni tipo. Purtroppo mancavano le risorse per un vero coordinamento ed un vero bilancio centrato sul singolo alunno e sulla costruzione del suo fascicolo personale. Ancora oggi in due pomeriggi alla settimana numerosi volontari svolgono nelle aule attività di recupero mirato su gruppetti, con pochissimi alunni ciascuno, di ogni singola classe prima.

Vedo bene anche il posizionamento nella scuola di organizzazioni magari sostenute dalle famiglie per visite guidate, viaggi, attività sportive, compiti assistiti, lingue straniere o italiano, tutte cose che già avvengono sparse qua e là  più o meno dignitosamente sul territorio.

Così si arriverebbe alla compresenza nelle scuole sia dell’offerta formativa obbligatoria statale o paritaria, il famoso curricolo essenziale, che di innumerevoli attività opzionali vicine al territorio, alle famiglie e al sentire dei giovani.

Ovviamente sarebbe necessario un coordinamento tra tutti i responsabili ed un bilancio permanente dell’efficacia e dei risultati. Ma se i genitori potessero appoggiarsi davvero alle scuole dei loro figli assieme alle risorse ed anche al volontariato comunale, le energie non mancherebbero.