Ci risiamo. Passano gli anni, sembra che tutto cambi, infuriano le polemiche (la più eclatante dell’ex ministro Berlinguer che con forza il 28 aprile al Politecnico di Milano al convegno sul liceo classico del futuro ha chiesto esplicitamente all’attuale ministro di eliminare questo tipo di prova), ma alla fine per chi frequenta il liceo classico arriva il giorno fatidico della traduzione dal greco o dal latino. Quest’anno gli studenti dovranno cimentarsi nel cercare di tradurre dalla lingua di Demostene, di Platone, di Plutarco… e non è cosa da poco. Sì, l’Italia ha ancora questo privilegio (o per alcuni questa maledizione), di prevedere uno studio linguistico delle lingue antiche e che questo sia in qualche modo accertato con una prova nazionale. Non è il caso di addentrarsi oggi nel dibattito: siamo di fronte al fatto che la seconda prova per il liceo classico è la traduzione dal greco. Se il fatto non può essere messo in discussione, a mio avviso vale comunque la pena di fare qualche considerazione.



La prima è che gli studenti sono chiamati ad una prova di altissimo livello di complessità. Ritengo indubitabile che la traduzione sia al vertice della difficoltà tra le attività di problem solving, tanto più se si tratta di un testo di cui non abbiamo i presupposti storico-culturali. La traduzione non è una semplice trasposizione automatica di strutture tra lingue: richiede la conoscenza di strumenti linguistici e culturali e la capacità di trasferirli in un altro mondo, il nostro. In questo passaggio di senso è il cuore della traduzione. È una prova di alto livello e, in ogni caso, prepararsi (negli anni ad affrontarla ha dato un innegabile contributo alla crescita personale e in senso più ampio “professionale” del candidato.



Non invidio poi chi è incaricato dal ministero di scegliere un testo: riuscire a calibrare una prova davvero superabile non è un compito semplice. Chi si prendesse la briga di leggere le prove nei cosiddetti anni gloriosi del liceo classico si renderebbe conto che dal punto di vista linguistico e contenutistico sono decisamente affrontabili, mentre alcune scelte recenti hanno destato non poche perplessità. Questa però non deve essere una scusa, per non affrontare con la dovuta determinazione un momento che potrebbe anche rivelarsi sorprendentemente appagante. Ho avuto una studentessa che ha sempre manifestato difficoltà con le lingue classiche ma che proprio nell’ultima prova della sua vita ha avuto la soddisfazione di riuscire a tradurre come non mai. Certo non è risultata pienamente sufficiente ma proprio in quel giorno ha potuto godere di tutto il lavoro fatto. 



Certo, qualcosa che non va c’è, vista l’accesa discussione tra docenti sull’argomento e la rassegnazione di molti studenti di fronte alla prova. Se, come ha sottolineato qualcuno all’incontro sulla seconda prova del liceo classico tenutosi in autunno in Università Statale di Milano, la maggior parte delle valutazioni della seconda prova è insufficiente, qualche dubbio occorre farselo venire.

La soluzione non mi pare però quella di abbandonare la prova di traduzione, ma di renderla “sensata” ed è compito di tutti cooperare affinché ciò avvenga. Gli studenti devono considerare alla loro portata la prova e non rifugiarsi in uno spirito rinunciatario “perché tanto nessuno riesce”. Chi ha il gravoso incarico della scelta è opportuno che tenga conto della  reale competenza linguistica di un livello liceale e del fatto che è assolutamente arduo tradurre un brano irrelato, privo di una qualsiasi contestualizzazione. Non ultimo fattore è il giudizio ponderato della commissione.