Il richiamo dello spazio è una delle esperienze umane più profonde, più antiche e più diffuse; attraversa epoche, popoli e culture ed è fonte di suggestioni, di rimandi simbolici, di iniziative pratiche, oltre che di conoscenza e creatività artistica. L’avventura dell’esplorazione degli spazi sconfinati ha accomunato “pastori erranti” dell’Asia, nativi americani delle praterie e aborigeni australiani che hanno rintracciato in quei puntini impressi sulla volta celeste i segni di qualcosa che illuminava le vicende terrene.
Alcune tappe di questa avventura hanno rappresentato salti di enorme portata. Basterà citarne due. All’inizio del Seicento, l’impiego del telescopio ottico ha spalancato uno scenario che per millenni era rimasto velato ai tanti occhi che avevano scrutato le profondità cosmiche: l’universo, almeno quello più prossimo alla Terra, ha iniziato ad assumere un nuovo volto, fatto di pianeti, di satelliti, di asteroidi. Un volto descritto in tanti resoconti appassionati e in numerosi disegni che vanno da quelli tracciati con mano abile da Galileo nel Sidereus Nuncius, alle mappe di Marte pubblicate a fine Ottocento da Giovanni Schiaparelli il quale, ipotizzando la presenza di particolari “canali”, ha inaugurato la ricerca della presenza di acqua fuori dalla Terra, una ricerca che oggi è al centro dei programmi delle principali Agenzie spaziali mondiali.
L’altro salto è avvenuto poco meno di un secolo fa, con la scoperta di Edwin Hubble dell’esistenza di altre galassie oltre la nostra Via Lattea. Anche in questo caso si è verificato un enorme aumento di scala nelle nostre possibilità esplorative e l’intero universo ha assunto una nuova fisionomia prima inimmaginabile.
Questa delle osservazioni astronomiche da Terra è però solo una parte, anche se molto consistente, dell’avventura spaziale umana; l’altra parte è più recente e sta vivendo una fase molto intensa ed entusiasmante: è quella iniziata dopo la metà del secolo scorso e che ha portato l’uomo a inoltrarsi nello spazio inviando strumenti e apparecchiature appositamente costruite e, in qualche caso, andando direttamente a “osservare il cielo dal cielo”.
Le esplorazioni spaziali rispondono a un’esigenza connaturata con l’uomo; quella, appunto, di esplorare il mondo che ci circonda in tutti i suoi aspetti e le sue manifestazioni. L’uomo è “esploratore”: il bambino esplora il suo ambiente, il suo spazio, e noi continuamente indaghiamo la realtà della natura, delle cose, delle persone e anche di noi stessi, che in parte diventiamo oggetto di indagine, contemporaneamente soggetto e oggetto di conoscenza. Indaghiamo il mondo per il semplice fatto che c’è, che lo riceviamo in dono dalla nascita e lo ritroviamo davanti a noi ogni giorno, forse senza avere piena coscienza di un simile dono.
Esplorare fa parte della natura dell’uomo e della sua condizione: quella di essere posto dentro la realtà, di essere circondato da un mondo multiforme e provocante, di imbattersi continuamente in qualcosa d’altro e di subirne il contraccolpo. Il contraccolpo del bello, come spesso è la natura che ci circonda e ci sovrasta; il contraccolpo dell’enigmatico, di tutti gli interrogativi piccoli e grandi che l’esplorazione della realtà suscita e ai quali la ragione si applica nel tentativo, sempre nuovo di rintracciare qualche risposta; il contraccolpo anche del grandioso, che arriva fino al terrificante dei fenomeni giganteschi o catastrofici: dai vulcani ai buchi neri.
L’indagine della realtà, che inizia fin da bambini, tende a non finire mai, ad allargare continuamente i confini, ad abbracciare ambiti sempre più ampi di realtà; un sintomo di vivacità umana è proprio questa sete di allargamento degli spazi di indagine e l’impiego delle risorse di genialità e organizzazione per costruire strumenti che consentano nuove ricerche. Per questo l’uomo non si accontenta osservare, con strumenti sempre più potenti, da Terra ma porta i suoi occhi nello spazio, mandando sonde dapprima nei dintorni del nostro pianeta e poi fino alle estreme periferie del sistema solare e oltre.
Un oggetto costruito dall’uomo, il Voyager, ha già oltrepassato l’orbita del pianeta più lontano e viaggia oltre la cosiddetta eliosfera nello spazio interstellare. Un’altra sonda – denominata emblematicamente Rosetta in ricordo della celebre campagna archeologica in Egitto – è andata qualche mese fa a sperimentare un incontro ravvicinato con una cometa; anzi, un piccolo lander ha posato le sue zampe meccaniche sulla accidentata superficie della cometa, lasciandovi le sue impronte in analogia con la ben più significativa orma lasciata dalla scarpa di Armstrong sul suolo lunare nell’estate 1969.
Poi c’è la Stazione Spaziale Internazionale, che sospesa a circa 500 km da terra ospita stabilmente laboratori scientifici nei quali si alternano astronauti-scienziati per periodi più o meno prolungati di permanenza in condizioni di microgravità; tra questi alcuni italiani, come Samantha Cristoforetti o come Paolo Nespoli, che l’anno prossimo vi tornerà per la terza volta.
Tutti questi sforzi e questo spiegamento di tecnologie avanzate che scopo ha? Che cosa cerca l’uomo nelle sue esplorazioni spaziali? Sono tanti gli interrogativi scientifici che possono trovare risposte da queste indagini: quali sono i meccanismi di formazione dei pianeti, qual è la composizione del nucleo delle comete, come nascono e come muoiono le stelle, come ruotano le galassie, cosa sono i lampi gamma…
Su tutti c’è un tema che è emblematico e riassume molti dei motivi dell’esplorazione: la ricerca di tracce di acqua su altri corpi extraterresti. Il bersaglio principale è lo stesso Marte di Schiaparelli: non tanto nei presunti canali ma in formazioni rocciose sotto la superficie. Ma nell’agenda della Nasa, dell’Esa e dell’Asi ci sono anche alcuni satelliti dei pianeti giganti (Giove e Saturno) e poi, come descrive nel suo libro l’astronauta Umberto Guidoni, ci sono i sempre più numerosi pianeti extrasolari, sui quali si possono eseguire sofisticate analisi spettroscopiche rivelatrici dell’esistenza di “una zona abitabile dove potrebbe esistere acqua allo stato liquido e forse la vita”.
Certo, come ha detto il presidente dell’Asi Roberto Battiston, “Marte è un luogo in cui c’è dell’acqua, anche se con modalità diverse rispetto a quelle cui siamo abituati sulla Terra”. Emerge qui l’elemento di emblematicità della ricerca dell’acqua. Anzitutto è una ricerca, come tutte del resto, che può rivelare aspetti imprevisti, che vanno oltre i modelli predisposti dai ricercatori e costringono a rivedere idee, schemi, a volte intere teorie.
Poi quella diversità indicata da Battiston segnala una caratteristica peculiare dell’avventura spaziale, che ne mette in rilievo anche l’aspetto più intrigante dal punto di vista dell’esperienza umana: è l’esperienza dell’incontro con qualcosa d’altro, con l’alterità: altri mondi, altre forme, altre immagini, altre dinamiche, altri ambienti.
Possiamo così tentare di rispondere alla domanda sulle motivazione profonde dell’esplorazione spaziale. Si possono riassumere nel desiderio, nell’attesa, nella speranza di un incontro. Il “forse” utilizzato da Guidoni indica tutta la suspense condensata nella possibilità di incontrare altre forme di vita, altri esseri. Forse, più in generale, espressione del desiderio di incontro con l’Altro.