Non c’è dubbio che da diverso tempo a questa parte la questione dei confini, legata soprattutto ai flussi migratori che si stanno riversando in Europa, sia il tema più scottante e quello su cui è necessario prendere una posizione per ridare slancio a una fase di incertezza assoluta in cui ci troviamo da troppo tempo.
Piero Zannini nel libro “Significati del confine – I limiti naturali, storici, mentali” ricorda che “Il confine…è anche un modo per stabilire in via pacifica il diritto di proprietà di ognuno in un territorio conteso”. Colpisce il termine “pace”, perché anche etimologicamente è legato alla parola confine, infatti deriva dalla parola latina “pax” che indicava qualcosa di molto concreto: il palo che delimitava il territorio di una proprietà dall’altra. Ciò a confermare quanto accennato prima: la chiarezza dei confini è un elemento di aiuto e serve per avere migliori relazioni.
Proprio il termine relazione è imprescindibilmente legato a quello di confine e ritengo che si spieghino in maniera chiara con una semplice metafora: noi tutti nasciamo da una relazione tra i nostri genitori e il primo “confine” che varchiamo nella vita, e forse il più importante, è quello del ventre materno. Proprio in questo fatto sta la chiave, ontologica direi, per comprendere la relazione che dobbiamo avere con il confine. Infatti anche se varchiamo il confine del ventre materno e quindi, anche fisicamente, “usciamo”, proprio in quell’atto noi iniziamo ad esistere perché abbiamo un nostro confine, ben determinato.
Ecco allora che uscire dal confine originario ci rende più noi stessi.
Allo stesso tempo però sarà il rapporto con la nostra terra di provenienza, nel nostro esempio la madre, che ci permetterà di crescere e diventare adulti. E’ solo così che cade quell’odioso dualismo che spesso ci viene propinato dai media per cui il confine è terreno di scontro. Anzi! Può essere il luogo dell’incontro tra due soggetti coscienti dei propri limiti che si mettono in relazione allargando la propria coscienza e apprendendo ognuno dall’altro e crescendo così insieme.
Il limite, il confine è per ognuno una possibilità di crescere, e dunque di andare oltre a quel che già sa per rimettersi in discussione; ed è evidente, ripercorrendo la storia dell’uomo, che non c’è limite che egli non voglia superare.
Lo stesso Zannini ricorda del desiderio insopprimibile di Ulisse di superare le colonne d’Ercole per andare oltre a ciò che era già noto; ma questo desiderio lo ritroviamo anche in molti altri personaggi storici, come Cristoforo Colombo, che decide di partire non avendo ben chiara la destinazione e soprattutto i mezzi per raggiungerla; fino ad arrivare ai tempi moderni con lo sbarco sulla luna.
Se dunque non c’è confine che l’uomo non abbia il desiderio di superare, si impone la questione del metodo affinché il tentativo di conquista della frontiera non finisca in un tragedia, come quella di Ulisse.
Sembrerebbe che l’unica via percorribile per entrare in una “terra straniera” sia in fondo stabilire una relazione con chi quella terra la abita e quindi meglio di chiunque la conosce.
Tutti noi avremo sicuramente fatto esperienza della differenza che c’è tra leggere una notizia di una città su un libro e poi della profonda differenza che c’è quando la si visita di persona accompagnati da qualcuno che vi abita.
Una volta assodato che il confine è un’occasione di scoperta e di crescita innanzitutto personale tra due soggetti coscienti di sé che intessono una relazione, bisogna ora capire come poter stare di fronte in maniera umana alle recenti migrazioni che stanno portando così tanto caos all’interno del nostro stato e di quelli europei in generale.
In questo caso ci troviamo di fronte persone che non avrebbero voluto lasciare la propria terra ma che l’hanno fatto per una necessità oggettiva: la guerra o una situazione di grave crisi economica.
A questo punto è ancora e soltanto affidandosi a relazione seria che si potrà vivere questa convivenza in maniera positiva. Se da una parte infatti non si può tollerare che gli immigrati muoiano in mare perché inumano, dall’altra si dovrà richiedere che un cittadino di un altro stato accetti le regole su cui si basa la convivenza dello stato ospitante, dando inoltre il proprio supporto per renderlo a sua volta più vivibile mettendo a disposizione le sue conoscenze professionali, culturali ecc.
Ecco allora che da una situazione oggettivamente complessa può rinascere un bene per tutti in cui ci si mette in relazione dentro una logica di servizio e non di possesso.
Sappiamo bene infatti che spesso i confini sono stati valicati per una brama di possesso, basti pensare alle oltre 50 guerre che si stanno combattendo attualmente nel mondo, ma questo non deve scoraggiare dal continuo tentativo di testimoniare, e dall’educare a farlo, che l’altro è un bene e che il vero guadagno non sta nell’annullare l’altro ma nel porsi di fronte a lui in maniera vera, mettendosi a confronto con i propri desideri ed esigenze.
Sarebbe tragico infatti scoprire che abbiamo sì qualcosa che ci accomuna, ma farlo in ritardo. Proprio come quel padre ufficiale nazista nel bel film “Il bambino dal pigiama a righe” troppo tardi scopre che suo figlio era stato scambiato per un ebreo, perché aveva varcato il confine della recinzione dei detenuti, ed era stato ucciso insieme al suo coetaneo ebreo.
Sarà compito dunque di ciascuno far si che oltre a costruire muri per delimitare giustamente il proprio “io” con la valorizzazione culturale e umana di quel che si è, si costruiscano anche porte per incontrare l’altro e non si finisca a vivere in una torre d’avorio, bellissima ma staccata dalla realtà.