Il brano da tradurre quest’anno è tratto dall’orazione sulla Pace del retore ateniese Isocrate (436-338 a.C.). Lo proponiamo nell commento e nella traduzione, fatta nel modo più fedele possibile al testo originale, di Paolo Torri, dottorando di ricerca in filosofia antica. Dopo il titolo dato dal ministero (“Vivere secondo giustizia non solo è corretto, ma anche conveniente per il presente e per il futuro”) e una introduzione fornita ai maturandi per contestualizzare il brano, seguono commento e traduzione.
Isocrate esorta i suoi concittadini a non cadere nella trappola dell’ingiustizia: chi viola le norme si illude di trarne un vantaggio immediato, ma alla lunga finisce in rovina. I comportamenti rispettosi della virtù, non sono solo il fondamento di una vita sociale eticamente corretta, ma portano vantaggi indubbi anche sul piano politico ed economico.
Commento al brano di Isocrate, orazione “Sulla Pace”, 34-36
Il ministero sceglie Isocrate, grande maestro di retorica del IV secolo, protagonista dell’Atene classica insieme a Platone e ai sofisti, celebre (e anche temuto) per il periodare ampio e disteso. Il brano che i nostri maturandi hanno affrontato è tratto dall’orazione politica Sulla pace, pronunciata dopo la disastrosa guerra sociale che tra il 357 e il 355 a.C. vede fronteggiarsi Atene con la seconda lega delio-attica da una parte, e le città di Chio, Rodi, Coo, Caria e Bisanzio, dall’altra. Lo scopo dell’orazione è convincere i concittadini ateniesi a rinunciare alle ambizioni imperialistiche di fronte alla crescente egemonia macedone e ad accettare la pace. La voce di Isocrate resterà inascoltata.
Il passo scelto comincia con un elogio della giustizia, attraverso il noto argomento (che si ritrova anche per esempio nella Repubblica di Platone) che i vantaggi che gli ingiusti ricavano dal loro comportamento sono solo un miraggio, come l’esca per un animale in trappola. In chiusura il lungo riferimento polemico a “coloro che non sanno fare altro che ingannare il popolo”, che “intascano denaro” da guerre che motivano con riferimenti a gloriosi antenati ci dà uno spaccato del caldo clima politico ateniese di metà del IV secolo, oltre che (forse) richiamarci alla nostra attualità politica.
Il testo non è particolarmente complesso da tradurre ed è un ottimo esempio di prosa attica, a cui i nostri ragazzi sono solitamente avvezzi. Possibili difficoltà potevano venire dai periodi molto lunghi e articolati. Nel primo periodo notevole è l’abbondanza di participi predicativi (i participi protimôntas, nomízontas e tutti quelli a seguire nel paragrafo sono retti dal verbo di percezione horáô). Nel secondo paragrafo qualche problema poteva creare la frase ellittica tò pollákis ôfeloûn, unita per asindeto alla precedente e ripresa dal dimostrativo toûto nella seguente. L’ultimo periodo era forse la sfida più grande per i maturandi, un vero e proprio rush finale di ben sei/sette righe, costellato di subordinate e cambi di soggetto.
In definitiva, però, la struttura è sempre chiara e non ambigua, come consueto in Isocrate, e dunque, se non ci si lascia scoraggiare dalla lunghezza dei periodi, non crea particolari problemi di comprensione.
Traduzione della versione dal greco
34. Vedo infatti che quelli che preferiscono l’ingiustizia e che considerano un sommo bene impadronirsi di una proprietà altrui soffrono le stesse cose degli animali che si lasciano prendere da un’esca: in un primo momento godono di quello che hanno preso, ma poco dopo si ritrovano in mezzo a terribili mali; quelli invece che vivono nel rispetto di pietà e giustizia, trascorrono una vita tranquilla nel presente e hanno dolci speranze per l’avvenire. 35. E se anche questo non avviene così in tutti i casi, tuttavia il più delle volte va proprio in questo modo. E dal momento che non possiamo prevedere sempre che cosa potrà esserci vantaggioso, chi ha buon senso deve mostrare di preferire ciò che è utile il più delle volte. L’opinione più insensata di tutte è quella di quanti da un lato sono convinti che la giustizia sia uno stile di vita più bello dell’ingiustizia e più caro agli dei, dall’altro pensano che chi poi la pratica vivrà peggio di chi preferisce il male. 36. Mi sarebbe piaciuto che, tanto quanto è doveroso lodare la virtù, così fosse anche facile convincere gli ascoltatori a esercitarla; ma temo su questo argomento di aver parlato invano. Siamo stati rovinati per molto tempo da uomini che non sapevano fare altro che ingannare, che sono a tal punto abituati a non tenere in nessun conto il popolo che ogni volta che vogliono fare guerra a qualcuno questi, mentre si intascano denaro, hanno il coraggio di dire che noi dobbiamo emulare i nostri antenati e non permettere che noi stessi ci copriamo di ridicolo e che quelli che non vogliono pagarci le tasse solchino il mare.
(Traduzione di Paolo Torri)