Dopo una stagione segnata dal dibattito sulla validità o meno della traduzione come seconda prova per l’esame di Stato del liceo classico, la parola è passata agli studenti, i quali si sono visti assegnare, perché lo traducessero dal greco in italiano, un passo tratto dal discorso Sulla pace (capp. 34-36), del 355 a.C., di Isocrate, oratore ateniese del V-IV sec. a.C., allievo dei sofisti Gorgia e Prodico ed egli stesso maestro di retorica, il quale non subordinò mai il “ben fare” al “ben parlare”; fu appassionato ammiratore dell’Atene dei padri, che additò come modello all’Atene del proprio tempo, ormai malata di imperialismo.
Per l’esame di Stato Isocrate mi pare una buona scelta: le sue orazioni sono ricche di passaggi che possono avere un senso compiuto anche isolati dal contesto, e soprattutto la struttura articolata, ma rigorosamente strutturata, della sua prosa può essere d’aiuto a chi deve individuare l’architettura del testo.
E’ il caso del nostro passo, il cui contenuto è assai attuale: praticare la giustizia non è solo più bello e più caro agli dèi, ma anche più vantaggioso per gli uomini (questo il titolo assegnato dal Miur: Vivere secondo giustizia non è solo corretto, ma anche conveniente per il presente e per il futuro). La riflessione isocratea è, almeno per i primi due terzi, assai vicina alla nostra sensibilità; qualche difficoltà in più avranno offerto invece sul piano dell’interpretazione le ultime quattro righe del testo, che presuppongono situazioni storico-politiche non universalmente note. Forse un “taglio” (non impossibile concettualmente) alle prime righe del cap. 36 sarebbe stato più opportuno: il brano proposto è, fra l’altro, di consistente lunghezza.
Sul piano linguistico, il passo sarà risultato più agevole agli studenti abituati a non concentrarsi subito sul dettaglio morfologico, ma a esaminare la struttura generale del testo. E’ a questo livello che possono infatti emergere alcune insidie: subito all’inizio, ad un participio sostantivato (toùs … protimóntas) fanno seguito una serie di participi con funzione predicativa; al primo, lungo periodo ne seguono due più brevi, ma tutt’altro che ovvi sul piano sintattico.
Lo studente viene messo “sulla strada” da una introduzione di tre-quattro righe, nella quale viene offerta una sintetica parafrasi del passo da tradurre. Personalmente ritengo che l’ottimo titolo proposto potesse bastare a indirizzare lo studente, al quale (penso alle occasioni future) potrebbe semmai servire una breve contestualizzazione — più che una sintesi — di ciò che deve tradurre: bisognerà evitare che si affanni a far quadrare la grammatica con un’interpretazione già offerta, anziché esercitarsi a interpretare egli stesso il testo, a tutto tondo, anche, ma non solo, a partire dalla grammatica.
In generale tuttavia direi che il passo isocrateo, suggestivo sul piano del contenuto pur se non banale linguisticamente, possa essere stato un buon terreno di verifica delle competenze linguistiche e culturali.
Staremo a vedere quale prova di sé i maturandi avranno saputo dare: un testo, com’è noto, non è dato dalla somma di regole di grammatica o di parole più o meno note, ma è il frutto, complesso e articolato, della volontà di comunicare idee da parte di un autore del passato. Gli studenti del liceo classico ancora una volta hanno dovuto mettere in gioco in questa prova diversi strumenti e conoscenze relativi al mondo antico appresi in questi anni, per mostrare se e quanto attraverso gli studi che hanno affrontato sia stata corroborata la loro capacità di interpretare l’altro da sé. Una capacità — ci possiamo scommettere — che sarà loro richiesta al massimo grado negli anni futuri, per studiare e per vivere.