Non si parla più di “preside sceriffo”. Uno slogan che, ce lo possiamo dire, ha funzionato nelle infinite polemiche sulla “Buona Scuola”. Tanto da mascherare e nascondere il vero motivo del contendere, cioè l’etica della responsabilità. Sapendo, infine, che la responsabilità è sempre ed anzitutto personale. Ognuno, cioè, per la propria parte. Contro, dunque, tutte le massificazioni, i finti egualitarismi eccetera. Nelle valutazioni degli studenti non combattiamo forse quegli stessi finti egualitarismi? Nel senso che esiste il diritto/dovere all’istruzione, ma non alla promozione, come per tutti noi esiste il diritto/dovere al lavoro, ma non al posto di lavoro.



Non se ne parla più, dunque, del preside-sceriffo.

Si vedrà se, tra bonus da distribuire e chiamate da costruire in relazione agli ambiti territoriali, quello slogan era più o meno reale, oppure solo un mettere le mani avanti di fronte ad un rischio, cioè la logica degli amici degli amici.

Si farà ancora di tutto un’erba un fascio, oppure si analizzerà caso per caso, per capire chi è corretto, trasparente, interessato alle “evidenze” più che ad altri criteri più discrezionali?



Intanto c’è chi spera che il nuovo vento politico porti alla cancellazione di tutte le novità di questi ultimi anni. Non sapendo, forse, che questo nuovo vento si è costituito sulla base dell’andare contro, non su quello della proposta di governo. Vedremo come si passerà dalla protesta alla proposta. Abbiamo già visto come il consenso poi cambi in modo velocissimo.

Io non darei credito a queste illusioni, perché poi, alla fine, conta sempre il principio di realtà. E la realtà è sempre criterio di se stessa.

Cosa resta dunque della feroce polemica sul preside-sceriffo? Meglio ancora: come stanno i presidi oggi, oberati da mille incombenze, ed in molti costretti al dono dell’ubiquità tra due scuole?



Mi verrebbe da dire che tutti i presidi, più o meno in grado di reggere all’onta d’urto delle nuove complessità, si sono trovati, loro malgrado, al centro della scelta del governo, nel senso di una responsabilità che è stata loro assegnata, se non imposta. Una responsabilità che, senza dubbio, li ha messi sì al centro della vita della scuola, per il vestito disegnato loro addosso, ma in una forma che alla fine è sembrato quasi uno scaricabarile: responsabili primi dei risultati, ma, provare per credere, senza una reale capacità di incisione nel governo delle “risorse umane”. Non parlo solo della scelta dei docenti, e del personale Ata, ma anche di quelle logistiche e finanziarie.

In poche parole, sono diventati dei parafulmini, senza una reale possibilità di incisione. Propaggini, al massimo, della strutturazione periferica del potere centrale, cioè ministeriale, e delle direzioni regionali, ma non concreta forza motrice delle autonomie locali, cioè delle comunità scolastiche. In grado di proporre e scegliere le migliori modalità di risposta alle nuove domande formative. 

Da un lato, si trovano oggi a dover rispondere agli obiettivi della direzione regionale, dall’altro costretti a mediare, ancora una volta, all’interno delle scuole. Sapendo, infine, che saranno i primi ad essere valutati. Nonostante, lo ripeto, l’impossibilità di gestione del personale e delle risorse. Un paradosso tutto italiano.

Se un preside ha una buona capacità relazionale può in qualche modo incidere, altrimenti si nasconde, ieri come oggi, dietro le solite logiche collettive, rimodulate, ma sempre presenti. A parte quei casi di presidi incolori, innamorati dei conflitti fine a se stessi o di gestioni non trasparenti: per questi motivi, il supporto delle ispezioni ed i contrappesi all’interno dei consigli di istituto sarebbero sempre necessari, indispensabili. Anzi, sarebbe importante, per le nomine triennali dei presidi, una delibera di validazione almeno del consiglio di istituto.

Qual è il punto dolens? Il mancato, anzitutto per la funzione del preside, riconoscimento che la responsabilità è sempre personale, prima che collettiva. Il cuore delle infinite polemiche. Cosa scontata nella nostra “società aperta”, ancora un tabù nel mondo della scuola.

Non un tabù per la valutazione degli studenti, ma per quella sui docenti, cioè sui valutatori degli studenti. Un non senso.

Se il direttore regionale, secondo una sua diretta responsabilità, potrà decidere le sorti dei presidi, se, ancora, i docenti potranno, ancora secondo una loro diretta responsabilità, decidere le sorti dei loro studenti, per il preside, invece, viene prevista una situazione ibrida. Non legata ad una chiara cultura dei risultati, ma ai mille soliti compromessi, magari mitigati, ma sempre compromessi.

Sono oggi i presidi preparati a raccogliere una sfida qualitativa oltre questi compromessi al ribasso?

Ce lo possiamo dire: non tutti i presidi, già oggi, sono in grado o nelle condizioni di assumere quell’autorevolezza che sola li può aiutare a governare quei compromessi in ordine ai “risultati” richiesti dagli “obiettivi” assegnati. Sono pessimista se credo che una parte dei presidi oggi non è adeguata ad assumere un ruolo positivo e propositivo, stimolatori di coscienza, ma, prima ancora, esempi di una cristallina responsabilità pubblica?

In questa “Buona Scuola” manca il passo ulteriore, cioè un’effettiva autonomia scolastica, nel senso di “scuole delle comunità locali” non legate più al principio-prassi del vecchio centralismo italico, riassunto nel motto “tutto ciò che non è permesso, è vietato”.