Questi ultimi mesi hanno visto alternarsi riflessioni importanti sul destino dei percorsi professionalizzanti di istruzione e formazione professionale (IeFP). Le prime provengono da un gruppo composto da ministero del Lavoro, ministero dell’Istruzione, da alcune regioni del centro-nord, Isfol e Tecnostruttura, che da ottobre scorso ha discusso sui criteri di riparto delle risorse finanziarie statali per l’IeFP per le annualità 2016-2018. Questa fonte, va precisato, copre una cifra (circa un quarto della spesa per la IeFP) che, pur limitata, rimane strategica per sostenere le regioni, le quali sovente se ne assumono il maggior onere.
Lo stato dell’arte di un settore ormai consolidato nell’ambito del secondo ciclo è noto ai decisori: il suo target principale è costituito dai drop out della scuola e da altri ragazzi a rischio di abbandono, come possono esserlo gli immigrati o i disabili, raggiungendo, soprattutto nelle istituzioni formative accreditate, tassi di successo apprezzabili sia da punto di vista formativo che da quello dell’inserimento professionale. Sempre più, tuttavia, si fa sentire la presenza di quanti scelgono la IeFP a 14 anni come prima chance, potendo vantare un precedente percorso scolastico non accidentato (ormai sono il 45%, registrati nel recente monitoraggio Isfol sulla IeFP).
L’ipotesi di base puntava a mantenere il più possibile le scarse risorse del ministero del Lavoro nell’ambito dei percorsi realizzati dalle istituzioni formative accreditate, limitando il finanziamento della sussidiarietà complementare e, ancora di più, integrativa. Il motivo è che le istituzioni scolastiche già godono dei correnti finanziamenti statali per gli istituti professionali ed espongono costi unitari medi nettamente superiori a quelli dei corrispondenti percorsi delle istituzioni formative accreditate. Oltretutto, aggiungono a questa differenza anche i costi della commissione di valutazione e dei moduli professionalizzanti, quando il confronto con l’offerta formativa degli enti accreditati è a favore di questi ultimi (vedi il citato monitoraggio Isfol).
Tuttavia, proprio la tendenza a superare il riferimento alla sussidiarietà (in particolare quella integrativa) tra i criteri di riparto, costituiva una criticità riscontrata dalle Regioni e Provincie autonome che, in un documento del 24 marzo scorso, auspicavano un confronto con i ministeri interessati su questo tema.
Anche questa proposta riconosce una superiorità delle istituzioni formative rispetto a quelle scolastiche (per tasso di completamento dei percorsi e per ricaduta occupazionale) e osserva che la IeFP in sussidiarietà “sopravvive e non raggiunge risultati confrontabili con il sistema di IeFP pura (i Cfp)”. Ciò avverrebbe soprattutto a causa dell’eccessiva rigidità dell’impostazione, dell’articolazione dell’orario e della distribuzione del personale docente, tanto da presentare un’offerta formativa nella quale “vengono forzosamente inseriti i percorsi di istruzione e formazione professionale”.
Mancano, secondo il documento delle Regioni, flessibilità organizzativa e didattica, rapporti con il mondo del lavoro e adeguate strutture laboratoriali. Non ci si potrebbe meravigliare constatando che è già difficile governare dal centro i corsi ordinari di una realtà complessa (da più di un milione di addetti) come la scuola italiana; possiamo allora immaginare quali condizioni di realizzabilità offra un adeguamento della macchina statale alla flessibile nuova realtà dei percorsi della IeFP. Si cerca una soluzione per via normativa dalla delega prevista dalla legge 107 (all’art. 1 comma 181 lettera d) che prevede il riordino dell’istruzione professionale in raccordo con i percorsi di IeFP. Si spera, in sostanza, che un allargamento dell’intervento dal campo dalla IeFP all’intero secondo ciclo professionale possa risolvere i problemi appena rilevati senza, invece, estenderli.
Nel documento delle Regioni, la questione dello sviluppo verticale del sistema tradisce ancora l’impostazione scuolacentrica: prima ancora di vedere realizzata la progressione verso i gradi alti di un sistema non accademico ma parimenti professionalizzante, ci si lamenta già dell’impossibilità di rientro automatico dai percorsi di 4° anno verso la scuola, quando la vocazione primaria di questi percorsi dovrebbe essere tutta orientata a penetrare il mercato del lavoro seguendo una formazione professionalizzante, come avviene in altri Paesi.
Il focus del dibattito, tuttavia, come si evince dal testo delle Regioni, rimarrebbe ancora “il futuro degli istituti professionali di Stato e la reale possibilità di tali istituti di adeguare la loro didattica alla formazione di figure (oggi 21+22) definite per competenze”, mentre poco prima ci si augurava “una auspicabile unificazione (dell’istruzione professionale) nel sistema dell’istruzione e formazione professionale”. Manca, però, il coraggio di rendere l’istruzione professionale realmente autonoma come nelle migliori esperienze internazionali delle Charter Schools e delle Academies. Allora si comprende come già nelle Provincie autonome si faccia a meno dell’istruzione professionale, per lasciare spazio alla sola IeFP accreditata o provinciale.
Non sembra apparire dal citato documento un deciso cambio di paradigma che smetta di vedere la soluzione dei problemi sempre tutta interna alla scuola e non, invece, nel potenziamento delle realtà che funzionano in una dimensione più correttamente competitiva. Certo esiste, specialmente al centro-sud, una “assenza o debolezza” del tessuto di enti di formazione accreditati, ma questa è questione che rimanda alla necessità di sostenere a livello nazionale le regioni claudicanti a partire dal controllo e dal monitoraggio delle attività.
Una lettura più serena dello scenario sembra, invece, suggerire un miglioramento omogeneo dell’intero sistema di IeFP, da realizzare e garantire su tutto il territorio nazionale, estendendolo anche a quelle regioni che mantengono ancora una quota residuale di percorsi delle istituzioni formative accreditate. Ciò passerebbe, inevitabilmente, per una razionalizzazione della spesa attraverso l’individuazione dei costi standard, per l’estensione del Sistema nazionale di valutazione alla IeFP e, non ultimo, per la diffusione di buone pratiche di monitoraggio e controllo che aiutino anche le regioni più impreparate a garantire il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni (Lev) in un sistema pluralista e non “forzosamente” statocentrico.