Le parole chiave della Buona Scuola non sono poi molte e nel decreto anche perfettamente funzionali l’una all’altra: per fare l’autonomia (leggasi Ptof della scuola) occorre un organico di potenziamento (più risorse umane dedicate e competenti) e inserito in un ambito territoriale — da cui il dirigente scolastico può scegliere i docenti funzionali alle aree disciplinari indicate anche per chiamata diretta — e il cui merito va premiato dal comitato di valutazione.
Sempre dell’area della valutazione, pur non facendo parte del decreto Buona Scuola, fa parte anche il Rav, il rapporto di autovalutazione della scuola, attraverso il quale la scuola individua area di miglioramento. 
Rimangono, a memoria, tre parole chiave: il bonus docente, i 500 euro che corrispondono idealmente alla logica del merito (sostenere l’obbligo di formazione del docente attraverso un contributo economico da lui/lei rendicontabile), l’alternanza scuola-lavoro, unica voce specifica a modifica della didattica, con l’introduzione dell’obbligo dell’alternanza scuola-lavoro in modi già descritti in queste pagine, e dulcis in fondo la promessa del reclutamento con solo concorso.   
Chi ha fatto il concorso sta aspettando esiti e orali, l’alternanza ha vissuto di Ifs (impresa formativa simulata) per la maggior parte degli studenti in questo primo anno, il bonus si rendiconta, il Rav è in fase di compilazione, il Ptof è agli atti, gli ambiti territoriali ci sono, sui criteri per il merito e la chiamata diretta “il dibattito è aperto”, e i docenti aspettano due cose: 1. tutti, le vacanze, esame di Stato, corsi di recupero ed altro assolti, 2. per chi ha vissuto l’inebriante esperienza di aver ricevuto la lettera di congratulazioni del premier Renzi per l’assunzione in una fase qualsiasi della Buona Scuola (ad esclusione della fase A), l’assegnazione in base alla domande di mobilità per il prossimo triennio. 
Le risposte arriveranno, come di consuetudine, nella calda o piovosa estate 2016, sia per chi in classe c’è andato sia per chi ha fatto potenziamento.  Tutti assieme, ad aspettare, con qualche precisazione reperibile nella nota del 29 aprile 2016 relativa proprio alla mobilità dell’organico assunto con il decreto Buona Scuola.
Quali precisazioni? Ad esempio che i posti del potenziamento possono essere utilizzati per completare gli spezzoni, o che sul potenziamento, tranne casi molti particolari, non si nominano supplenze, o ancora che i docenti sovrannumerari possono restare nel proprio istituto sui posti dell’organico di potenziamento. Scossa alla scuola? Occasione rigenerativa della professionalità docente che si inventa un suo utilizzo proficuo nel ruolo di potenziamento assegnato?
Da queste note spicciole (altre osservazioni saranno possibili una volta che  le disposizioni si faranno dettagliate) direi piuttosto salvaguardia del posto di lavoro, e in modo più efficace di qualsiasi provvedimento della Corte di Cassazione, che ha recentemente confermato che solo l’articolo 18 si applica al lavoratore pubblico, non la legge Fornero.



La Buona Scuola è un abito da Arlecchino confezionato con tante pezze diverse a nascondere la povertà qui non di mezzi, ma di un’idea unificante, che le dia un’anima. Se un’innovazione sarebbe dovuta entrare nella scuola secondaria, questa sarebbe dovuta entrare con la riforma dei cicli, con la didattica delle competenze e le linee guide, non più “i programmi”. Ma quanta didattica per competenze si è vista, al di là di programmazioni archiviate come tali? La riforma dei cicli ha semplificato di certo l’offerta, eccessivamente spezzettata, ma non ha cambiato la scuola secondaria; come avrebbe potuto farlo se coloro che sono incaricati dalla rivoluzione, i docenti, non intendono salire sulle barricate? Da allora, con buona pace di chi ha avuto la fortuna di un’esperienza positiva, il carrozzone scuola ha continuato  per la sua strada fino alla promessa della rinascita con il decreto Buona Scuola. Il cui contenuto, tuttavia, non era originariamente, strutturalmente atto, ad immettere linfa vitale nel corpo della scuola; al di là dei proclami, legati che siano o no alla necessità elettorale del premier o del ministro di turno.
Ma se non è assennato aspettarsi la ripartenza del sistema scuola dalla “scossa” della Buona Scuola, da cosa aspettarsi la ripartenza? La centralità della figura del docente come risorsa umana è il fulcro di un recente reportage di The Economist “How to make a good teacher”, quindi della sua “creazione” o meglio formazione; e la parola chiave della Buona Scuola è assunzione, non formazione. Con la Buona Scuola si avranno solo e soltanto concorsi, e Tfa contingentati (ammesso che partano; mi sovviene ora che nella Buona Scuola c’è anche questa parola chiave, il Tfa per abilitare i docenti, questa caduta per ora nell’oblio).
Un panorama deludente di produzione di massa di corpo docente a cui è, a mio parere, sterile contrapporre la singola umanità e professionalità del docente, pur motivato, pur preparato. Il professore carismatico che sfida il sistema immobilista di The Dead Poets’ Society è un modello pericoloso, perché l’unico seme che pianta è quello della ribellione, dell’essere contro, della setta che lo segue come un “capitano”. Più confortante la figura di Erin Gruwell che con i Freedom Writers (vicenda vera) crea unione e tolleranza fra ragazzi di gangs di Los Angeles. Il fulcro della sua azione didattica è la revisione totale del programma del corso dopo aver scoperto che nessuno dei ragazzi sa cosa sia l’Olocausto, vale a dire non ha idea di quale orrore possa generare l’intolleranza razziale. Parimenti ignorano il coraggio di Anna Frank; da questo partono visite didattiche e momenti di socializzazione fuori della classe, perché la classe possa nascere; parte della nascita è la scrittura di un diario a più mani, il Freedom Writer Diary, dove i 150 teens si raccontano e scoprono il valore che ognuno di loro ha nelle relazioni di tolleranza e amicizia che si vanno a creare. L’esperienza è stata narrata in un film, e ha dato origine ad una fondazione che vorrebbe replicare il metodo dei Freedom Writers.



Di educatori la cui esperienza è diventata metodo educativo, normalmente con risultati superiori alla media della realtà del singolo buon professionista, non mancano esempi. La stranezza della scuola italiana centralista è quella di non dare spazio reale al processo identitario dal basso, che non è affare di uno, e nemmeno di uno che si affidi a dei “maestri”, ma di un gruppo che condivida una prospettiva educativa. Che essendo un corpo vivo, ha quell’anima che la Buona Scuola non ha.
La cosa è talmente reale e concreta che si può concretizzare nella cellula più piccola e insignificante del corpo scuola: il consiglio di classe, all’opera sempre e comunque nella scuola, e il più facilmente rivitalizzabile perché a contatto quotidiano con l’unico vero “fattore di revisione programmatica” sempre presente nella scuola: i suoi studenti. Non certo le “scosse” di revisioni organizzative a modalità arlecchinesca.

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