Michael, Ilary, Becher, Anthony, Christian, Gloria, Yousef: hanno in comune il luogo di residenza e gli amici. Vivono nel cuore di Catania, nello storico quartiere dei “Cappuccini”, ma appartengono a culture, religioni e paesi differenti. Becher, 10 anni, ha i genitori marocchini, e parla correntemente arabo, italiano e siciliano. Gloria e Yousef, 19 anni in due, hanno origini tunisine. Michael, Ilary, Anthony e Christian, nonostante i nomi rimandino al mondo dello spettacolo americano, sono siciliani doc.
Tutti e sette condividono i drammi di un quartiere e di un’isola che non è fatta a misura di ragazzi. Alcuni, a fine giugno, hanno ricevuto la lettera della storica scuola che frequentavano in via Forlanini (la paritaria gestita dalla suore Betlemite che per 50 anni hanno educato i bambini in difficoltà) in cui si annunciava la chiusura a partire dal nuovo anno scolastico. Anthony, che frequenta la seconda media, ha presente la storia del fratello Patrick che, iscrittosi ai corsi regionali di formazione professionale, per un anno intero è rimasto in attesa che cominciassero le lezioni e poi, arrendendosi, ha cercato un lavoro per tenersi in attività. Altri hanno visto o vedono la miseria quotidiana nel quartiere in cui vivono e, a volte, la violenza. Spietata, anche di fronte ai minori.
Certamente non sono questi i ragazzi a cui si riferiva Tahar Ben Jelloun quando, dopo i fatti di Nizza e la strage dei bambini, ha scritto che bisogna spiegare ai piccoli “che la vita non è solo bellezza, fuochi d’artificio, feste e gioia, ma anche violenza gratuita, assurdità, ingiustizia assoluta”.
Michael, Ilary, Becher, Anthony, Christian, Gloria e tanti loro compagni sperimentano quotidianamente la durezza della vita e avvertono, forte, l’esigenza di trovare un perché al male che vedono per strada o in tv, e di poter custodire come un tesoro l’amicizia che hanno scoperto fra loro e con alcuni educatori che li seguono gratuitamente da anni. Ai loro occhi i corsi professionali mai cominciati, la scuola paritaria che chiude i battenti, l’oratorio che per ristrutturazione rimarrà off limits tutta l’estate sono segnali di una società (politica, chiesa, istituzioni) che li abbandona quasi fossero — per parafrasare il titolo di un bel libro di Gilbert Cesbron — “cani perduti senza collare”.
Ma i ragazzi dei Cappuccini e i loro amici-educatori non si rassegnano. Hanno avviato un coro, proseguono le gite estive e le iniziative in città (come il laboratorio artistico al Museo diocesano o gli incontri periodici con l’amica-maestra Laura Salafia costretta all’immobilità dalla banalità del male degli uomini) e non smettono di inquietare i grandi. Mercoledì scorso, per esempio, i sette ragazzi e altri 20 loro amici hanno incontrato l’arcivescovo di Catania, monsignor Salvatore Gristina, dialogando per più di un’ora con lui e ascoltando attentamente le risposte alle domande che loro avevano preparato.
Michael ha raccontato di aver perso il papà all’età di 7 anni e “questo me lo ricorderò per tutta la vita”. Becher, che è musulmano, ha chiesto “perché i bambini di famiglie cristiane si devono battezzare”. Anthony è stato ancora più diretto: “Se ti fanno un torto — ha chiesto — tu come reagisci?”. E Ilary: “Perché esiste il male del mondo?”.
Il vescovo ha raccontato di sé, di quando era bambino e marinava la scuola, del rapporto col proprio padre che non è finito neanche dopo la sua morte, del male che c’è nel mondo e dell’amicizia e del dialogo che può esserci fra cristiani e fedeli di altre religioni. Alla fine dolci per tutti, che i bambini cristiani e musulmani, italiani e stranieri, hanno condiviso durante un pranzo comune nel refettorio della casa-oratorio di via Raciti, in questi anni luogo di studio e di ritrovo anche per i ragazzi dei “Cappuccini”. I bambini indossano una maglietta bianca con la scritta “Big bang”: è l’inizio dell’universo, è la speranza che possa sbocciare una nuova amicizia. Quei ragazzi tengono accesa, anche per noi, la fiaccola della speranza. Non spegniamola, col nostro disinteresse o col nostro cinismo.