Un Rapporto Invalsi 2016 finalmente più sereno quello presentato ieri, 7 luglio, nella Sala Comunicazione del Miur alla presenza del ministro Giannini e del sottosegretario Faraone. Location e celebrities da definitiva istituzionalizzazione.

Del resto, dopo la tempesta dell’anno scorso quando una significativa percentuale di scuole secondarie del Sud aveva utilizzato la copertura della lotta contro la Buona Scuola per sottrarsi alle prove, quest’anno le percentuali di partecipazione sono tornate ad essere bulgare. Tranne alcune storiche eccezioni, come quelle collocate nel cuore della Sardegna.



Il ministro stesso ha riconosciuto che al recente G7 è stata positivamente apprezzata l’esistenza nel nostro paese di un sistema organico ed affidabile di valutazione degli apprendimenti e delle scuole. Nonostante la tradizionale tendenza italiana all’autolesionismo, è da riconoscere che non sono molti i paesi che se ne sono oggi dotati.



I risultati in sé non sono molto cambiati: stessa graduatoria delle macroaree (NordEst, NordOvest, Centro, Sud e SudIsole), persistenza delle copiature (cheating) che sempre più chiaramente sono attribuibili ai suggerimenti degli insegnanti, attenzione crescente ai fattori causali fra cui particolarmente e finemente indagato quello del genere.

La novità di quest’anno è la misurazione del valore aggiunto, cioè di quanto ci mette, di suo, la scuola al netto dalle componenti di genere, nazionalità, stato sociale etc. Un’informazione decisiva, perché le scuole vengano valutate non in relazione alle caratteristiche degli studenti in entrata ma al loro lavoro. E qui finalmente una novità positiva: al Sud ci sono scuole eccellenti come al Nord ed al Centro; il problema sta nel fatto che ci sono molte più scuole che non sembrano lavorare bene.



Quest’anno la più grande novità ha riguardato la pubblicizzazione (finalmente!) degli esiti delle prove stesse. Alcune informazioni di base — i risultati assoluti comparati con quelli di scuole di pari livello sociale e le differenze fra le classi — sono state infatti obbligatoriamente collocate nel Rapporto di autovalutazione che è apparso all’inizio di novembre sui siti di tutte le scuole a disposizione dunque di genitori e comunità. L’integrazione da quest’anno delle informazioni circa il valore aggiunto prodotto potrà fornire una immagine completa e più giusta.

Sullo sfondo avrebbe dovuto rimanere la questione della collocazione della prova Invalsi all’interno dell’esame di terza media. Sfondo da cui ha provveduto a farla uscire il sottosegretario Faraone preannunciandone la rimozione. Associazioni di docenti e dirigenti — non tutte — lo chiedono da tempo nel nome del monopolio valutativo della scuola. Anche se — Roberto Ricci, responsabile del Rapporto, ha fornito i numeri — risulta che nel 91% dei casi la prova non ha cambiato il voto e per il resto in metà dei casi lo ha alzato e nell’altra metà lo ha abbassato di 1 (!!) punto.

Ed anche se molti dicono che questo è il solo modo per riorientare realmente la didattica che continua ad essere poco cambiata rispetto alle impostazioni tradizionali poco attente allo sviluppo di effettive competenze. Un’alternativa da tempo valutata potrebbe essere quella di collocare una prova di Italiano e Matematica nel corso dell’anno — in terza media e finalmente forse anche in quinta superiore — e di farne uno strumento di certificazione. In tal modo gli “esami di stato” rimarrebbero sereni nelle mani della scuola; e università e scuole superiori avrebbero un’idea effettiva di cosa gli allievi sanno e sanno fare.