Nei Rapporti Invalsi, si diceva, c’è tanto che si potrebbe approfondire.
Facciamo due casi.
Dice Invalsi: “gli allievi della scuola primaria partono da livelli di competenza molto simili in tutte le aree del Paese, ma essi tendono a differenziarsi, anche sensibilmente, nei livelli scolastici più elevati“.
Negli ultimi anni l’attenzione degli analisti ed ancor più dei decisori si è soffermata sull’anticipazione di elementi di istruzione nella fascia di età precedente l’inizio dell’obbligo. Non è questa una novità: fin dal secondo dopoguerra negli Usa sono state messi in atto progetti di prescolarizzazione rivolti in particolare alla popolazione afro-americana e anche nei confronti delle minoranze latinos ed asiatiche. Fondamento teorico l’ipotesi, tutta novecentesca, dell’istruzione formale come elemento decisivo per l’integrazione dei soggetti e delle comunità nello stile di vita e di lavoro delle popolazioni con più alta produttività e tenore di vita.
Quest’impostazione è stata confermata da Pisa, che ha individuato la frequenza di forme diversificate di educazione anticipata come uno degli elementi correlati con alte prestazioni alle prove. Ed anche diversi governi hanno preso provvedimenti in questo senso, a partire dalla Germania che, subito dopo i risultanti non brillanti di Pisa 2000, ha messo in campo attività istituzionali (e non progettini come si fa da noi) in particolare nei confronti della popolazione di origine turca, che risultava essere fra le aree che avevano significativamente abbassato i risultati del paese.
Ma alcuni dati del nostro Paese vanno in controtendenza: in seconda elementare Nord, Centro e Sud sono sostanzialmente allineati, sia in matematica che in italiano. Anzi, nella lingua prevale leggermente il Centro: potevamo aspettarcelo. Eppure le percentuali di frequenza delle forme di istruzione pre-obbligo sono notoriamente ben diverse nel nostro Paese, con un Sud in cui prevale ancora l’accudimento casalingo, per una serie di ragioni anche culturali.
Se guardiamo poi al fenomeno degli “anticipatari”, cioè dei bambini che in vari modi vanno a scuola un anno prima, Invalsi ci dice che non sempre l’essere anticipatario è correlato a buone prestazioni. Anzi, soprattutto nelle regioni come la Campania, in cui si registra una rincorsa di massa a questo “privilegio”, può diventare una causa di mediocri risultati. Le cause possono essere molte: ci possono essere soggetti “non pronti” alle modalità piuttosto tradizionali con cui nel nostro Paese in alcuni casi si inizia a lavorare sui banchi di scuola. Oppure…
Dice Invalsi: “Anche in termini di valore aggiunto l’efficacia delle scuole, a parità di condizioni, è molto diversa all’interno del Paese. Nel Mezzogiorno si osserva una forte polarizzazione delle scuole tra quelle estremamente efficaci e quelle con risultati molto bassi…“; e “nel Mezzogiorno la variabilità dei risultati tra scuole e tra classi è molto elevata, anche nel primo ciclo d’istruzione, con un impatto preoccupante sull’equità del sistema educativo di queste aree del Paese. Questa differenza si riflette anche in termini di efficacia delle scuole. Infatti, nel Mezzogiorno risulta molto più elevata la quota di scuole che ottengono risultati più bassi dell’atteso, anche quando dall’analisi si elimina il peso delle variabili esogene sulle quali la singola scuola non può intervenire“.
E Invalsi aggiunge anche una novità positiva: in termini di valore aggiunto, al Sud sembrano esserci scuole eccellenti come al Nord ed al Centro; il problema sta nel fatto che ci sono molte più scuole che non sembrano lavorare bene.
Sarebbe ora di uscire dall’indistinto a proposito del problema della scuola del Sud, anche per svelare l’arcano per cui, a fronte di risultati super-mediocri in seconda superiore, poi ci sono giovani che hanno studiato nelle scuole del Sud che possono vantare curriculi formativi post-diploma anche sofisticati e che si trasferiscono per lavorare in Italia del Nord ed anche all’estero con buoni se non brillanti risultati. Il che viene impropriamente usato per spiegare i voti hot di massa della maturità, fenomeno che, nonostante gli ironici elzeviri dei maître à penser della grande stampa, tranquillamente ed impudentemente continuerà, se non si cambiano le regole.
La spiegazione sta scritta in tutti i rapporti che Invalsi ha redatto fin dal suo inizio: al Sud c’è una grande polarizzazione culturale, prima ancora che economica e sociale. Da una parte un’élite che cerca tutti i privilegi: la scolarizzazione anticipata, le classi di livello (magari perché le famiglie innocentemente chiedono che il bambino stia con gli amici), le scuole segregate anche per il cattivo livello delle scuole che non siano i licei, l’università al Nord e magari, dopo, i master all’estero. Dall’altra il popolo che viene paternalisticamente lasciato al suo livello, magari per non frustrarlo con valutazioni critiche, di cui si esalta la “conoscenza disinteressata” (cavallo di battaglia di certa micro-intellettualità) ed al quale, del tutto conseguentemente, non si danno scuole decenti per il lavoro. La cultura divulgativa, figlia della borghesia e della rivoluzione industriale che ha creato il substrato culturale dello sviluppo del Nord, viene disprezzata: meglio l’incultura, la cultura del folklore oppure la cultura di avanguardia.
Comincia a serpeggiare un certo fastidio per il pianto greco sui finanziamenti e sul contesto culturale basso. Mentre il conte di Downton Abbey si occupava dell’allevamento dei maiali, i baroni siciliani andavano a consumare a Parigi le tasse dei contadini ed oggi le ristrette élite culturali del Sud vanno a Londra, New York o Milano. Quanto resisterà il mito del Sud isola felice dei “progressisti” e del Nord generatore di arcigno produttivismo e di macelleria sociale?