I recenti problemi di politica scolastica innescati dalla chiamata diretta, dagli esiti dell’Invalsi, del concorso, della maturità giustamente invocano una maggior sensatezza di tutti gli aspetti relativi al reclutamento dei docenti e alla valutazione degli studenti, ma evidenziano un certo disinteresse su un aspetto fondamentale della scuola: la didattica. Cioè la possibilità di insegnare qualcosa a qualcuno. Eppure a consuntivo di un anno scolastico, e in previsione di quello che tra poco inizierà, ciò che riesce a stupirmi e a rinnovare il mio desiderio di lavorare nella scuola è proprio il successo che una buona didattica può ottenere.
Certo, si tratta di un successo quasi impercettibile, difficile da misurare, che si coglie solo con un occhio attento ai sussulti dell’umano il quale prorompe confusamente e saltuariamente nei ragazzi in crescita, ma che probabilmente è l’unica speranza per il presente e il futuro della nostra tormentata società.
Mi sovviene ad esempio il racconto di un’amica, docente di lettere in un istituto tecnico, la quale non ha mai rinunciato alla lettura de I promessi sposi anche in classi difficili. Stupita del silenzio venutosi a creare tra i suoi studenti, di diverse provenienze, culture e religioni, in seguito alla lettura dell'”Addio ai monti” in cui Manzoni descrive lo struggimento di Lucia costretta a lasciare la sua terra, ha chiesto loro a cosa stessero pensando. Timidamente uno ha risposto che non riusciva a capire come uno scrittore italiano dell’Ottocento potesse conoscere con tale precisione i sentimenti che lui aveva provato quando aveva lasciato il suo paese. Conclusione dell’intensa discussione accesasi in classe sull’argomento è stata una visita al cimitero Monumentale di Milano, dove, sulla tomba del Manzoni, ciascuno ha recitato la preghiera per i defunti della propria religione.
E ripenso ad alcuni esami di terza media a cui ho assistito. Una ragazza ha portato al colloquio un approfondimento sulle onde gravitazionali, concludendo che lo studio di tale fenomeno, condotto con passione, andando a intervistare docenti di fisica del liceo e partecipando a una conferenza sul tema, è stata una possibilità per capire un po’ di più le ragioni dell’emozione che le provoca la visione notturna del cielo. E un suo compagno, alle prese con un’analisi testuale del racconto La giacca stregata di Buzzati, ha verificato che analizzando singole parti del discorso, l’avverbio e la congiunzione, si può cogliere il senso complessivo del testo, perché ogni particolare ha un nesso con il tutto di cui fa parte, così come le azioni del protagonista sono misteriosamente legate a delitti di cui viene a conoscenza dai giornali. Scoperta che ha suscitato nello studente profondi interrogativi sulla responsabilità del singolo rispetto alla costruzione o alla distruzione del mondo. Due dieci e lode.
Ma la stessa esperienza di sorpresa del nesso tra sé e ciò che si studia è emersa anche nell’esame di una ragazza più modesta negli esiti, con difficoltà di apprendimento certificate. All’esame ha presentato il lavoro effettuato durante l’anno con la sua docente di sostegno di lettura e comprensione dell’Odissea di Omero. Il testo era stato ricostruito a partire da domande poste dall’insegnante, volte a far emergere i significati dei vari episodi e a contestualizzarli nel racconto. La ragazza ha raccontato alla commissione d’esame come le vicende di Ulisse l’avessero aiutata a scoprire la sua dignità e un modo di considerare i rapporti affettivi più puro e vero di quello a cui si stava abituando.
Contemplando il mare mi ritorna in mente anche l’uscita didattica effettuata in maggio con le seconde medie in Liguria, intitolata “Momenti della giornata occasioni della vita”. Due giorni dedicati all’osservazione del mare in diverse ore del giorno, dal tramonto alla notte, all’alba e a mezzogiorno. Aiutati dalle poesie di grandi poeti quali Foscolo, Leopardi, Montale, Luzi, Caproni, i ragazzi contemplavano i colori, le linee, i movimenti del mare appuntandoli con parole, metafore, versi, schizzi e disegni su un taccuino che via via si arricchiva di esperienze. Sorprendenti i commenti al ritorno: “Per tutto l’anno abbiamo parlato del mare dicendo che è impetuoso, cupo, terribile… non negando, però, la sua infinita e assurda bellezza. Ma una volta arrivati a Varigotti e subito dopo a Pietra Ligure, ho visto un mare diverso, il mare che ho conosciuto io, quel mare che ho sempre considerato come casa mia e a cui sono legati i miei ricordi più belli e profondi. Il mare è come un confessionale dove posso pensare in pace, senza che qualcuno mi dica cosa fare. A volte mi rimbomba nella testa il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli e mi ricordo di quella grande distesa salata che è capace di rapire il cuore di ogni uomo” (Anna).
“Ho visto l’orizzonte moltissime volte, ma questa mi è sembrata la prima. Ci siamo detti che la luce della sera racconta e custodisce i ricordi. La cosa più bella che ho scoperto è che la sera racconta e custodisce anche i miei ricordi” (Sofia).
“Quest’anno il mare è stato per me un compagno di viaggio. Essendo immutabile, non credo che lui sapesse che ero lì a guardarlo, ma grazie a lui ho imparato ad osservare attentamente le cose, con quel ‘granello di stupidità’ che ci permette di scoprire anche ciò che non si vede” (Irene).
Quel “granello di stupidità” — espressione di Flannery O’Connor che descrive l’attività contemplativa dello scrittore — è forse ciò di cui ha bisogno la scuola più che di qualsiasi altra cosa. La capacità di osservare la realtà, di interrogarla, di paragonare ciò che si scopre alle proprie esigenze, di mettersi in azione per capire di più e per comunicare ad altri le proprie scoperte è la competenza cui mirare, senza fretta e senza l’ansia di misurare i risultati. Illuminanti a tale proposito due recenti letture: Elogio della lentezza di Lamberto Maffei (Il Mulino, 2014) e Sazi da morire di Claudio Risé (San Paolo 2016), i quali da punti di vista diversi mettono a tema il vero bisogno dei giovani.
Il primo, neuroscienziato, analizza “vantaggi e svantaggi di una civiltà dove sembra dominare la rapidità dei rapporti e delle decisioni e dove il fare sembra prevalere sul pensare”, dimostrando essere molto più rispondente alla natura del cervello umano il “pensiero lento”, basato sul linguaggio e sulla scrittura, da valorizzare insieme alla logica, alla matematica, alla musica, alla contemplazione e alla poesia in tutto il percorso scolastico. Il secondo, psicologo, analizza la diffusione delle malattie prodotte dal consumismo, dall’utilitarismo e dal materialismo: “il rimanere nelle cose, e chiudere ad ogni aspetto e domanda spirituale, porta a un’indifferenza verso la domanda di senso della vita. … Il ritirarsi dall’investigare il senso dell’esistenza esprime una posizione passiva, tendenzialmente depressiva, e promuove quindi un indebolimento della volontà, che viene invece nutrita proprio dalla ricerca di senso”.
Due libri che vale la pena leggere per chi si occupa di scuola e di educazione, per rivalutare la lentezza come contemplazione e la profondità come ricerca di senso. Ingredienti fondamentali di una buona didattica.