Con l’intento di fare un punto della situazione ai fini della ripresa a settembre dopo la pausa estiva, se si va ad analizzare quanto accaduto attorno al settore della scuola paritaria da un punto di vista normativo, istituzionale, politico, mediatico, c’è da restare a dir poco sconcertati.
Tutto negli ultimi mesi ha evidenziato un approccio che fa pensare ad una sorta di strabismo politico-istituzionale che, come nella patologia ottica, per evitare di avere due visioni diverse tende ad eliminarne una e — guarda caso — la “visione eliminata” è sempre quella della scuola paritaria.
Per spiegare il perché di questa mia preoccupazione parto da quanto accaduto a fine febbraio con l’approvazione del decreto legge 62/2016 che ha stanziato un contributo di mille euro per ogni studente disabile frequentante una scuola paritaria. Questo intervento non è stato visto o letto come l’inizio di interventi tendenti a sanare una grave discriminazione verso gli studenti aventi diritto per il loro disagio, che hanno un trattamento di sostegno diverso a seconda che frequentino una scuola statale o paritaria (consideriamo che secondo i parametri Miur un’ora di sostegno settimanale equivale a 806,96 euro annui), ma ha dato il via alla solita campagna ideologica denigratoria, in questo caso iniziata dal Movimento 5 Stelle, al grido ” Renzi toglie soldi alla scuola pubblica e ingrassa le casse delle private”, facendo finta di dimenticare che il contributo è indirizzato, con suo pieno diritto, alla famiglia che ha un figlio a disagio e non alla scuola.
Contemporaneamente, in fase di approvazione del citato decreto legge, si è verificato un tentativo, fortunatamente non passato, di parlamentari di Sel-Si di far approvare un emendamento che recitava: “ai sensi dell’articolo 33, terzo comma, della Costituzione, è abolito ogni contributo pubblico alle scuole paritarie di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62, e successive modificazioni, ad esclusione di quelle non statali degli enti locali”. Perfetto esempio del citato strabismo, che elimina la “visione paritaria” e che riporta a pensare che la scuola pubblica, avente quindi diritto di finanziamenti, è solo quella dello Stato o degli enti locali.
Passano poco più di due mesi e si ha la pubblicazione del decreto 8 aprile 2016 che disciplina l’attuazione del bonus scuola. A parte la modalità di contribuzione e la detrazione prevista, che ha creato le note polemiche su cui non mi dilungo, va evidenziato ancora una volta lo strabismo istituzionale dell’estensore poiché, pur evidenziando nell’art. 2 comma 3 che tra i beneficiari delle erogazioni liberali possono esserci anche le scuole “paritarie private”, al comma 2 dell’art. 5 si pone la strana condizione che, per averne diritto, occorrerà che la scuola stipuli una convenzione “con il relativo ente locale proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento”, modalità esercitabile praticamente solo dalla scuola statale o paritarie degli enti locali! Svista o dna culturale? E’ vero che il ministro Giannini è prontamente intervenuto promettendo la sistemazione con il “successivo decreto che definirà lo schema della convenzione”, ma il fatto rimane.



Arriviamo a giugno, tempo di “maturità”, e riscontriamo che la traccia di diritto ed economia politica per la seconda prova scritta del liceo delle scienze umane ad indirizzo economico-sociale ha riguardato il dibattito “tra scuola pubblica e paritaria”, partendo da un testo dell’Assemblea Costituente, ma senza mai citare, nel commento preparatorio e nelle domande rivolte agli studenti per lo sviluppo della prova, il termine “paritaria”.
Ho già commentato l’accaduto esprimendo le mie opinioni in un articolo pubblicato nei primi di luglio, ma ritengo che alcune giustificazioni basate sulla scusante che il testo della Costituente non poteva riportare la parola paritaria (ovvio vista la datazione 1946) mi sembrano deboli, dato che le domande chiedevano valutazioni sull’oggi ed oggi la legge di parità ha praticamente 16 anni di vita. Altra svista o strabismo culturale del preparatore del testo?
Tutto quanto esposto si è svolto dentro il quadro di un dibattito che via via si è reso più teso in relazione al tema dei criteri da utilizzare per la ripartizione dei contributi da distribuire alle scuole paritarie, a seguito di una sentenza del Consiglio di Stato e finalmente giunto a conclusione nei giorni scorsi, con la firma del decreto da parte del ministro.
Non ho intenzione di infilarmi nelle lunghe discussioni dei mesi scorsi, tese a trovare una soluzione per arrivare all’erogazione dei contributi alle scuole. Tempi lunghi che potevano portare alcune di loro di loro ad un tracollo finanziario che, aggiunto al problema del cambio docenti per le nuove immissioni in ruolo da parte dello Stato o degli enti locali, le porterebbe al rischio di chiusura.
Mi sento di chiedere ai responsabili di queste scelte di stare lontani, in futuro, dal “virus dello strabismo”, ma di avere chiaro il traguardo da raggiungere ed i parametri di riferimento utili a valorizzare la scuola paritaria, tenendo conto di quanto accaduto, errori compresi, onde evitare i “corsi e ricorsi storici” di vichiana memoria, spesso forieri di guai e non di soluzioni.
Chiarisco con semplici indicazioni: la parità è un diritto civile dei cittadini e non un grazioso favore alle scuole. E’ stato il primo parametro incontestabile che ci ha permesso di ottenere la legge di parità 62/2000; la risoluta unità di intenti in sintonia, pur nelle diversità, è stato il valore determinante per avviare la stagione che ha portato alla legge di parità con i 20mila della manifestazione al Palavobis di Milano nel 1997 fino ai 200mila di Piazza San Pietro nel 1999; l’odierno inconfutabile parametro utile quando si debbono emanare norme o prendere decisioni sui finanziamenti alla scuola paritaria è la sua funzione sociale ed il servizio pubblico essenziale erogato.
Uscire da questi “binari”, a mio avviso, è rischioso e protrarrà sempre più l’ottenimento della realizzazione della 62/2000, parità economica compresa, producendo addirittura qualche regresso, come già avvenuto.



Si pensi ad un futuro in cui scelte su aspetti fiscali quali Tasi, Tari, o sulla regolamentazione della messa in ruolo di docenti in servizio presso la scuola paritaria, che tanti problemi ha creato e sta creando anche in questi giorni, siano fatte sulla base del parametro del servizio pubblico offerto e si valutino le conseguenze avute quando si è cercato di usare altri parametri quale quello della “natura giuridica dell’istituzione” (peraltro non prevista dalla legge 62) nel caso dell’Imu, problema non ancora risolto a fondo per un errore strategico, come ebbi a scrivere a suo tempo in un mio articolo, e si comprenderanno meglio la mie proposte.
Il clima, anche se non perdo mai l’ottimismo, è oggettivamente difficile e, alla ripresa, busseranno alla porta soluzioni normative circa la regolamentazione della scuola dell’infanzia da 0-6 anni prevista dalla legge 107 e la predisposizione del nuovo Testo Unico; se dovesse rimanere lo “strabismo” che porta a tenere una visione statalista nelle soluzioni, i guai sarebbero dietro la porta.
Dobbiamo mostrarci capaci di essere uniti e determinati, affrontando i problemi e le difficoltà nell’interesse complessivo del nostro settore e del bene delle scuole, per permettere loro di ottenere la valorizzazione della funzione sociale che svolgono e del valore pubblico essenziale che erogano, mettendo da parte qualche piccolo interesse immediato o qualche visione personale.
La sfida è grande perché i diritti non vengono graziosamente concessi, ma si conquistano e solo “uniti si può vincere”.