Sono intimiditi e spaesati, alcuni degli sguardi che si incrociano nei corridoi e tra i banchi, ogni anno, i primi giorni di scuola… A un occhio attento e ormai scaltrito da anni di esperienza, appaiono tra l’indifferente e il distratto, cuori “solitari” estranei anche a se stessi; privi insomma di quella curiosità che accende ancora i volti dei nostri ragazzi almeno quando varcano la soglia della “loro” prima media. Potrebbero sembrarti, di primo acchito, tanti piccoli sordomuti se, a tradirli, non fosse poi il taglio o il colore dei loro occhi per non parlare della carnagione: sono cinesi, filippini, pakistani, ucraini, moldavi, egiziani, latino-americani… e non capiscono niente di quanto gli si agita intorno!
Sono proprio loro ad infoltire la popolazione scolastica del nostro Paese che, come è noto, da parecchi anni segnala uno fra i più tristi primati europei in quanto a ricambio generazionale.
Buona parte di tale universo — che inizierà, puntualmente, il nuovo anno scolastico nel prossimo mese di settembre — è probabile abbia guadagnato il territorio italiano nei mesi scorsi, raggiungendo le nostre coste meridionali su barconi stracarichi: il recente film di Risi — Fuocoammare — vincitore dell’Orso d’oro a Berlino, ce ne ha offerto uno spaccato eloquente. Molti altri però, si ricongiungono in maniera meno “convulsa” ai propri cari (generalmente il padre o anche la madre) che li hanno preceduti nel tempo in cerca di un lavoro e di un’abitazione che garantissero all’intero nucleo familiare una, sia pur relativa, sicurezza e stabilità.
È un tema spinoso quello dei cosiddetti stranieri di “prima alfabetizzazione”: dove e come inserirli; privilegiare l’età anagrafica o l’inserimento nella scuola primaria per favorire l’apprendimento dei primi rudimenti della lingua. Nell’ottobre 2008, la Camera aveva approvato una mozione — su proposta della Lega — finalizzata ad istituire “classi ponte”, definite poi “classi di inserimento”, che favorissero strategie didattiche propedeutiche all’ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti. Con l’avvicendarsi dei governi, il provvedimento non ebbe seguito, ma la questione rimase aperta come lo è tuttora… Oggi come oggi, ciascuna scuola si organizza sulla base di un proprio progetto di istituto facendo per lo più riferimento alle linee di indirizzo per l’integrazione stranieri della più recente normativa.
Il comprensivo dove ho lavorato per anni (hinterland milanese), conta una significativa percentuale di alunni stranieri, parecchi dei quali di prima alfabetizzazione. Il problema, per questi ragazzi, si fa particolarmente critico nella fascia di età che interessa la secondaria di primo grado (undici/quattordici anni). Ormai da tempo, la scelta della mia scuola è stata quella di privilegiare l’inserimento sulla base del criterio anagrafico, puntando così sulla socializzazione più che sull’acquisizione dello strumento linguistico: se un ragazzo entra da subito in rapporto con compagni e adulti, sarà facilitato anche nell’apprendimento sistematico della lingua.



Non è sufficiente tuttavia, per imparare una lingua — e tanto più l’italiano —, interagire sia pur positivamente con il gruppo classe specie poi quando si devono impattare le cosiddette “materie di studio”: storia, geografia, scienze naturali… per non parlare della seconda lingua (spagnolo, francese o anche tedesco) che si aggiunge all’obbligo dell’inglese veicolare.
In assenza di una normativa pianificata su scala nazionale, si procede un po’ per tentativi e agli Italiani, si sa, l’ingegno non manca…
Con il monte ore residuo che soprattutto i docenti di lettere accumulano nel corso dell’anno scolastico grazie a spazi orari di 54 anziché di 60 minuti, è possibile strutturare veri e propri “corsi” per alunni stranieri da alfabetizzare. Un docente viene in genere preposto all’organizzazione di questa specifica attività che prevede: dapprima una suddivisione degli alunni in fasce di livello e successivamente la strutturazione vera e propria del corso con tanto di valutazione da allegare alla pagella del primo quadrimestre e di fine anno.
Succede così che, durante la quotidiana attività  scolastica, il cinesino o la pakistana di turno, vengano prelevati dalle proprie classi (per una media di quattro o anche cinque ore settimanali) e lavorino — singolarmente o insieme a un compagno della medesima area linguistica di provenienza — con un docente che ha il compito di introdurli all’uso dell’italiano: conversazione e grammatica.
Certo, qualcuno potrebbe considerare ridicolo il tentativo e comunque inadeguato rispetto all’obiettivo, veramente arduo, di insegnare la lingua italiana a ragazzi che provengono da universi culturali tutt’affatto diversi oltre che risultare spesso scarsamente alfabetizzati anche nella loro lingua madre.
Che fare quindi? Aspettare che lo Stato ci fornisca una normativa o rispondere alle sollecitazioni della realtà mettendo in campo la grande risorsa dell’esperienza? Dove non arrivano gli insegnanti, suppliscono infatti la semplicità e la fantasia dei ragazzi che si costruiscono, imprevedibilmente, i loro codici comunicativi, spesso anche crudeli, come ha raccontato in una drammatica testimonianza al Papa una giovane quindicenne, durante la Giornata mondiale della gioventù. Non ha esitato, Francesco, con il suo linguaggio incisivo e diretto, a fornire indicazioni di metodo chiare e precise: va bandito dal nostro vocabolario il termine “extra-comunitario” che si dice “delle persone di altri Paesi che vengono a vivere da noi. Tu che sei di un altro Paese, diventi “extra-comunitario”: ti portano via dalla comunità, non ti accolgono”.
Senza — mi auguro — peccare di superbia, aggiungo, in chiusura, un breve testo che ho ricevuto da una mia alunna egiziana di prima media che ho avuto la fortuna di seguire anche nel corso di prima alfabetizzazione:



Cara p. Sponza
non ho visto nella mia vita una prof come te anche prof. (di) Matematica, anche gli altri avete fatte tantissime per noi stranieri. Al fino ho capito bene che tu sei una prof (che) lavora tantissimo ma al fino si trova tanti alunni che sono spiasciuti che vai (via) perché sei tu la prof di loro. Le parole sono fermati da qui perché tu sei bella e non so cosa dirlo e buona vacanza. B. B.

Non accogliere, proseguiva il Papa a Cracovia, “è una cosa contro cui dobbiamo lottare tanto”.

Leggi anche

Valditara: "Collaboreremo con Cecchettin contro i femminicidi"/ "Bisogna ridare autorevolezza ai genitori"