Caro direttore,
la notizia della morte di Ernst Nolte (1923-2016) mi ha colto stamane (ieri, ndr) mentre stavo andando a Rimini per il Meeting e dopo averlo affidato a Dio con la mia preghiera sono riandato ad un giorno per me emozionante e che ho conservato nel ricordo. Eravamo agli inizi degli anni novanta e durante i lavori dell’Accademia dell’Istria io, insegnante quarantenne di storia, ebbi l’occasione di pranzare con lo storico tedesco e di dialogare con lui.
Lo ricordo come una persona di grande umanità e con un portamento estremamente signorile e cordiale, ne fui affascinato, e la semplicità con cui si mise di fronte alle mie domande mi ha segnato e avvicinato alla storia più di quanto fino ad allora io avessi potuto, io che avevo fatto più studi di filosofia e che preferivo insegnare la filosofia piuttosto che la storia. Avevo incontrato in lui una modalità affascinante di fare storia, un uomo che non si fermava alla raccolta dei dati e che nemmeno ammucchiava gli eventi l’uno sull’altro con il risultato che la storia sia una somma e nulla più, quindi ultimamente qualcosa senza senso.
Quell’incontro, da quel giorno, lo porto sempre con me. Per me, che non avevo cultura storica e rischiavo di ridurre l’insegnamento della storia ad una rassegna di eventi, rappresentò una sfida, che dura tuttora, a ripensare che cosa significhi insegnare storia. E questo ancor prima di entrare nel merito della sua famosa tesi sulla guerra civile europea, tesi secondo me interessante e ancora da capire fino in fondo.
Ma se anche non la si condividesse, non è questo il punto, perché la sfida di Nolte è stata quanto mai importante ed è quanto mai attuale: è la sfida ad uscire da due riduzioni della storia ancora molto diffuse, quella positivista e quella ideologica. Per questo Nolte è stato ed è un personaggio scomodo, perché indica la strada della ragione come quella percorrendo la quale si abbraccia la storia e la si capisce. Di Nolte ho sempre fatto conoscere ai miei studenti la sua idea di guerra civile europea e ho mostrato loro sia il modo con cui lui l’ha formulata, sia le obiezioni di fronte a cui si è trovato, ma soprattutto ho cercato di far capire che la sua genialità è stata quella di usare la ragione per cogliere il filo rosso della storia.
Per questo ciò che Nolte propone non è una idea nuova di storia, e nemmeno una idea anti-ideologica. Ciò che egli propone è di superare gli schemi in cui ingabbiare la storia per poter riconoscere ciò di cui è costituito il procedere storico, dove può anche succedere che ciò che ideologicamente sembra contrario in realtà ha degli impressionanti punti di contatto.



Questo mi rimane di Ernst Nolte, la sua sfida a usare la ragione, perché capire la storia non è una questione di raccolta completa dei dati o di possesso dell’idea giusta, capire la storia è possibile a chiunque la guardi confrontandola con le domande della sua ragione. L’incontro con Nolte mi ha lasciato in eredità un metodo, qualcosa quindi ben al di fuori delle polemiche sul revisionismo e delle accuse di sottovalutazione del nazismo che lui ha dovuto subire da chi non ha voluto confrontarsi con il nocciolo della sua proposta.
Lo ricordo nella preghiera e con tanto affetto, grato di quello che ho imparato da lui.

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