Oggi al Meeting di Rimini Tat’jana Kasatkina, direttore del dipartimento di teoria della letteratura presso l’Accademia russa delle scienze, presenterà gli Scritti dal Sottosuolo di Dostoevskij. Nell’occasione il testo si offre al lettore in una nuova traduzione curata da Elena Mazzola, arricchito da una ampia sezione metodologica. La docente russa anticipa in questa intervista alcuni temi della sua relazione e del suo metodo di introduzione alla comprensione del testo letterario.



Come nasce la nuova versione delle Memorie dal sottosuolo, ritradotte in Scritti dal sottosuolo?
La nuova versione nasce dall’esperienza di una Scuola estiva promossa dall’Istituto Luosi di Mirandola e da Diesse che ha visto protagonisti insegnanti di ogni parte d’Italia e anche stranieri. Durante queste giornate abbiamo capito che c’erano grandi problemi con la traduzione di quest’opera di Dostoevskij. Ci sono problemi con tutte le traduzioni di opere letterarie, ma nel caso di Dostoevskij è particolarmente inadeguato l’approccio dei traduttori, che non sono precisi nel tradurre perché cercano di cogliere qualcosa come l’aura dell’autore o in generale l’atmosfera del libro.



E invece?
Dostoevskij è invece precisissimo in ogni parola che usa ed è impossibile tradurlo se il traduttore non riconosce le citazioni nascoste nel testo, che sono anzitutto citazioni bibliche. Di conseguenza quelle citazioni erano scomparse per il lettore. Ci siamo trovati davanti a un altro testo, cioè era scomparsa la trama interiore, costruita su queste citazioni e reminiscenze.

Può descriverci in breve le caratteristiche che deve avere la lettura di un testo come questo?
Un testo come Scritti dal Sottosuolo richiede al lettore un grande lavoro. È un testo che è impossibile cogliere in modo adeguato alla prima lettura perché per fare attenzione alla trama interiore, cioè al punto al quale l’autore cerca di portare il lettore attraverso tutto questo sistema di riferimenti diversi, occorre liberarsi dalla cosiddetta trama verticale. Inutile aspettare che il libro semplicemente scorra davanti agli occhi, per capire dove vada a finire. Nel caso degli Scritti dal Sottosuolo la trama non finisce in nulla, in un certo senso.



Ci aiuti a capire, professoressa.
In realtà quello che accade ad ogni pagina successiva è una nuova comprensione dell’uomo in sé e della posizione che lui prende rispetto agli elementi di questo mondo. Ma per iniziare a fare attenzione a tutto ciò bisogna leggere il testo fino alla fine e rendersi conto di non avere capito assolutamente nulla, anzitutto a partire dalla questione di come stanno in rapporto tra loro le due parti del testo. Bisogna dunque rileggerlo con un’attenzione a tutti quei punti del testo in cui il protagonista parla in prima persona, che sono quelli in cui “potrebbe” trovarsi la voce dell’autore. Perché l’autore ha fatto quello che dice il protagonista. La scoperta del discorso dell’autore nella voce del personaggio è appunto il contenuto di tutta la seconda parte di questa nuova edizione degli Scritti dal Sottosuolo. Abbiamo intitolato questo corpus di commenti “Gli Scritti dal Sottosuolo come testo cristiano”.

Che importanza ha dunque la lettura comune del testo letterario, esemplificata in questo caso nella sezione metodologica del libro?

Senza questo passaggio è impossibile l’intero metodo di lettura “da soggetto a soggetto”. Una persona ha sempre un suo punto di osservazione e da questo punto vede il testo e vede tutto il mondo. Si tratta di una prospettiva molto determinata, per cambiare la quale ha bisogno di un altro. È impossibile per introdurre al sistema di questo metodo fare solo un corso di lezioni e finirla lì. Chi guida deve trovarsi sempre in rapporto di interrelazione con coloro che sta guidando, perché gli altri offrono nuovi punti da cui nascono nuove prospettive. Per esempio fanno domande che a chi guida non verrebbero mai in mente. Chi fa domande le fa semplicemente per il fatto che si trova nel suo punto di osservazione. Questa possibilità di abbracciare un certo avvenimento, un certo fenomeno si verifica solo quando c’è un gruppo di persone che hanno deciso di lavorare insieme e verificano anche le piccole scoperte di tutti gli altri. Quel metodo filologico che chiamiamo “da soggetto a soggetto” diventa, per così dire, sommamente oggettivo e verificabile. Quando c’è uno scienziato, un critico letterario che lavora da solo, lui può immaginarsi come vedere l’oggetto, ma questa opinione può non avere niente a che fare con ciò che è presente nel testo. Qui invece ognuno ferma questo volo della fantasia, grazie agli altri, per tornare al testo e sperimentare che la sua concezione non coincide col testo. È qui che comincia la vera ricerca.

È possibile introdurre il metodo della lettura da soggetto a soggetto nella scuola?
Penso che sia addirittura indispensabile, se vogliamo che la letteratura nella scuola rimanga una materia importante e non sia relegata ai margini della formazione come una decorazione rispetto a quelle che sono considerate le conoscenze essenziali per l’uomo.

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