Sono una ventina, solo due uomini, il resto donne. Alcune vistosamente incinte, altre con bambini al seguito. Nell’aria di questo primo pomeriggio d’agosto, di questa domenica caldissima e deserta nel centro di Milano, si sente il profumo di creme solari, di vacanze interrotte, di valigie fatte in fretta dentro la macchina che tanto si può parcheggiare anche in Duomo, oggi, volendo. Sono professori, gente che da anni insegna, che magari ha già fatto il Tfa, ha un’abilitazione da qualche anno. Ma adesso, adesso che hanno passato lo scritto del concorso ordinario, adesso sono chiamati all’ultimo sforzo: domani dovranno svolgere l’esame orale, una cosa che in pochi sanno come sarà, che la presidente di commissione spiega adesso dentro la scuola deserta e senz’aria.
L’esame, per loro che insegnano di sicuro già da un po’, è da intendersi come una lezione che il docente svolgerà davanti alla commissione come se fosse davanti ad una classe, indicando quale classe, quanti alunni, quanti Bes, fornendo materiale e tutto quanto possa consentire lo svolgimento della lezione, dalle indicazioni su strumenti e sussidi all’uso di tecnologie multimediali. Con una piccola precisazione: in quell’aula dove domani i docenti reciteranno il loro ruolo, non c’è la Lim, bisognerà adattarsi, arrivare con un pc, con un tablet, ma anche con niente. Ma su cosa faranno la lezione? Nessuna paura, sono lì per questo: dentro un’urna che non assomiglia nemmeno a quelle dell’estrazione del lotto in tv, ci sono mille bigliettini, su ciascuno il titolo di una lezione da affrontare. Si va dall’amore sensuale nella poesia post-cortese alla teoria della tettonica a placche, dai moti risorgimentali alle figure retoriche in D’Annunzio.
Sì, perché i professori in questione reciteranno per il ruolo in lettere nella scuola media o negli istituti superiori. Come alla Uefa, il presidente della commissione invita all’estrazione i candidati. Sì perché qui sono loro a tirare fuori il bigliettino, a salvarsi o condannarsi con le loro mani: come se per decidere quale squadra sta nel girone Champions con la Juve chiamassero Higuain a estrarre il bigliettino. Ecco, loro sono lì per questo. E, una volta estratto l’argomento, avranno tempo fino al giorno dopo, lunedì, alla stessa ora, per prepararsi e illustrare il risultato del loro lavoro.
Così venti professori sono arrivati dal mare, o dalla montagna, con le auto e i figli, o in treno o in aereo per estrarre il tema del loro destino. E come loro, altri, in tutt’Italia. Così mi hanno detto. Ma se proprio si doveva estrarre, non poteva provvedere un notaio con la commissione? I candidati non potevano essere avvertiti con una mail del tema loro affidato? Mancava la diligenza che li passasse a prendere e poi il quadro della buona scuola, quella del 1800, era completo. Ma forse così era necessario per non dare adito a mugugni o ricorsi, che sembrano essere lo sport nazionale in caso di concorsi.
E quindi, adesso ognuno parte con il suo biglietto in tasca, torna a casa, trova il materiale necessario, apre internet e si tuffa dentro ventiquattro ore di studio e delirio. I gruppi di whatsapp cominciano a fibrillare, ognuno di quelli che farà l’esame più avanti chiede in giro: cos’hai pescato? Cosa pensi di dire? Quali testi pensi di usare? I bambini delle professoresse sono presi in ostaggio da padri, nonni e baby sitter vari e non saranno più messi a contatto con la mamma fino al giorno dopo, qualcuno pensa a fare da mangiare e a costringere la candidata a nutrirsi, perché altrimenti si dimentica di farlo, in preda a una sorta di furore mistico didattico.
Quello che sconcerta è come le commissioni potranno ascoltare con discernimento il mare magnum degli argomenti che capiterà loro di ascoltare. Vuoi mettere un professore che si trova un titolo su Amore e ginnastica di De Amicis? Magari va a scopiazzare di qua e di là, se è fortunato imbastisce una storiella. Ma la commissione? Cosa ne sa? Certo non è questo che conta, essa deve misurare la capacità del candidato di esporre l’argomento a una classe, di sapere usare gli strumenti, di avere cosa, ancora? Insomma, in qualche modo si farà.
Milano è deserta anche di lunedì, il via vai dei professori è l’unico traffico che c’è: l’Italia è ferma, l’Italia è in ferie, l’Italia è sotto l’ombrellone e non si tocca. Ma c’è un pugno di temerari che studia, che suda le sue carte, che si gioca il suo futuro. Altro che: almeno qui, nella scuola, l’Italia è in viaggio, l’Italia si muove, vuoi vedere che ha ragione Renzi? Magari non capiterà a lui come a Galileo, magari non sarà un papa tra trecento anni come è accaduto con Giovanni Paolo II e lo scienziato italiano, ma forse tra un po’ qualcuno potrà dire che davvero aveva ragione lui: bisogna smettere di essere pessimisti, di gridare sempre contro ogni cosa, l’Italia si muove e cambia davvero.
Intanto una di queste professoresse, che è anche una mamma, spiega al suo bambino arrivato a riprendersela e sbaciucchiarsela dopo la comunicazione dell’esito dell’esame: è tutto a posto, ho vinto. E mi sono divertita. A un certo punto ho fatto con i commissari esattamente quello che faccio con te, con i miei alunni: li ho sgridati perché parlavano tra loro mentre ero girata alla lavagna a scrivere. Brava mamma, le dice il figlio: finalmente sei entrata in ruolo, adesso torniamo al mare? Sì, che la scuola riparte, che il Paese riparte, che il premier ha ragione.