Caro direttore, nei giorni scorsi Il Tempo informava che la Corte dei Conti ha condannato tre ex alti dirigenti ministeriali a risarcire lo Stato per la faccenda delle cosiddette “pillole del sapere”, una ventina di filmati didattici di tre-quattro minuti da diffondere nelle scuole, che furono commissionati alla società “Interattiva Media”. Costarono la cifra astronomica di 769mila euro, circa 39mila l’uno. E pensare che c’era un istituto tecnico disposto a farle gratis. L’affidamento fu fatto senza gara e senza che nessuno si preoccupasse di verificare se altre aziende fornissero prodotti analoghi a minor prezzo. Quanto alla qualità, sono stati giudicati un po’ da tutti didatticamente inadeguati.



Di conseguenza Giovanni Biondi, ex capo dipartimento della Programmazione del ministero, dovrà risarcire  35mila euro allo Stato; Antonio Giunta La Spada, già direttore dell’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica (Ansas) 90mila euro; Massimo Zennaro, capo della Direzione generale per lo studente, poi portavoce della ministra Gelmini, 10mila euro. Totale 135mila euro. Non sono, come ci si aspetterebbe, 269mila, in quanto non sono stati chiamati in giudizio altri soggetti che pure hanno contribuito al danno erariale, cioè funzionari del ministero e dell’Ansas. Per questo sono state sottratte dall’importo le quote “astrattamente addossabili a tali soggetti”.



Com’è noto, fu un’inchiesta di Report (che definì i filmati “le pillole della vergogna”) a far aprire un’indagine penale e una contabile. La prima è finita in un “non luogo a procedere”, ma va detto, come ricorda Il Tempo, che per i giudici contabili proprio la sentenza di proscioglimento fa emergere manifesti profili di “mala gestio” e che l’archiviazione fu dovuta a “gravi carenze nell’attività di indagine da parte del P.M. penale”. La Corte dei Conti, oltre a rilevare “un meccanismo di spesa al di fuori della normativa vigente, volto a instaurare un rapporto esclusivo con un imprenditore privato e a depauperare le pubbliche finanze”, è drastica anche sulla qualità dei prodotti: “palesemente scadente, come riconosciuto anche dal giudice penale”. Se non bastasse, in precedenza la commissione indipendente istituita dal ministero si era espressa negativamente sui filmati: “Lo spirito che permea questi prodotti non è didattico”. E più avanti: “Il 50% degli argomenti trattati sembrano più pubblicità progresso che materiali didattici”.  



Tanto premesso (come dicono i testi ministeriali), si dà il caso che il dottor Biondi nel 2013 è passato a presiedere niente meno che l’Indire, cioè l’Istituto Nazionale per la Documentazione, l’Innovazione e la Ricerca Didattica, l’ente che si occupa istituzionalmente anche delle materie oggetto dell’inchiesta e della condanna, cioè della progettazione e realizzazione di supporti didattici. 

Non sappiamo se la sentenza della Corte dei Conti verrà appellata o meno, e dunque se è da considerare definitiva. Dato però che l’iniziativa del presidente Biondi è stata più volte censurata sia nel metodo (procedure e danno erariale) che nel merito (qualità e utilità dei prodotti ai fini della didattica), viene da chiedere al ministro Giannini: è ancora opportuno che continui a ricoprire quel ruolo?