Che il concorso previsto dalla cosiddetta Buona Scuola non avrebbe risolto i problemi della supplentite e del precariato, era prevedibile ed era anche stato previsto dai pochi commentatori che hanno analizzato l’attuazione del piano straordinario di assunzioni e della mobilità straordinaria.
Basterebbe già questa banale evidenza per dimostrare che il dibattito sulla difficoltà delle prove concorsuali è sterile e soprattutto fuorviante. Dire che le prove erano troppo difficili per giustificare il fatto che solo la metà dei partecipanti sia riuscito ad approdare alle prove orali, rischia di nascondere ed attenuare le più gravi colpe del Miur nell’elaborazione e nell’applicazione di misure che peggioreranno la qualità della scuola italiana per molti anni. Anche perché non si capisce quali vantaggi avrebbe potuto avere il ministero a pensare prove tanto difficili da bocciare una così alta percentuale di partecipanti, sapendo che il buon esito della procedura concorsuale avrebbe consentito di ridurre il numero di cattedre vacanti del prossimo anno scolastico.
Paradossalmente, coloro che avanzano questo tipo di analisi hanno una bassissima considerazione dei vertici ministeriali, perché sembrano presupporre che essi attestino l’evidenza empirica della famosa legge di Carlo Cipolla sulla stupidità di chi causa un danno ad altri senza ricavarne alcun vantaggio. Mentre escludono ogni ipotesi di inadeguata preparazione degli insegnanti che hanno partecipato al concorso, nonostante si tratti di docenti abilitati che in molti casi hanno già insegnato per anni.
In ordine temporale, quello del concorso è solo l’ultimo fallimento, che si aggiunge a tutti gli altri già noti. Abbiamo dovuto impiegare molti mesi per dimostrare che la Buona Scuola non ha curato la supplentite e non ha risolto il precariato. Non è stato nemmeno facile dimostrare che non ci sarebbe stata nessuna “deportazione” di insegnanti da Sud a Nord, perché quelli assunti con il piano straordinario di assunzioni dell’anno scorso sapevano bene di accettare uno scambio tra immissione in ruolo e trasferimento. Semmai è stato assurdo consentire loro di restare ancora un anno supplenti nella scuola dell’anno precedente, per costringere le loro scuole di destinazione a sostituirli con altri precari.
Evidentemente, ora non è così facile far capire che il problema vero del concorso non è la difficoltà delle sue domande, ma il fatto che non riuscirà a fornire alle scuole gli insegnanti di cui hanno bisogno, principalmente perché è stato riservato solo agli insegnanti abilitati che sono già risultati insufficienti per coprire le cattedre dell’anno scorso. A ben vedere, è proprio questo il dato più incredibile: come hanno fatto al ministero a non capire che se l’anno scorso sono state affidate più di 20mila supplenze ad insegnanti privi di abilitazione, non si sarebbe mai riusciti a coprire le cattedre vuote?
Il fallimento annunciato del concorso si sommerà agli effetti della mobilità straordinaria, che pregiudicherà ogni ipotesi di continuità didattica, ed al fallimento della chiamata diretta, che avrebbe dovuto essere l’ultimo tratto qualificante della cosiddetta Buona Scuola, che sempre di più ci restituirà una scuola alla buona.