Caro direttore,
ogni tanto, quando si parla di scuola, pensare al Regno Unito, nonostante Brexit, non fa male. In quella realtà, come abbiamo letto anche di recente qui, opera un organismo ispettivo indipendente dal potere politico, l’Ofsted, che svolge un ruolo giudicato, anche da chi non ama particolarmente il sistema scolastico inglese, efficace e condotto con professionalità ed imparzialità. Gli esiti delle ispezioni, poi, magari non sono condivisibili ma quella è un’altra storia.
Noi, in Italia, abbiamo invece l'”Ofsted de’ noantri” (copyright mio già ai tempi di “Profumo di scuola”, rubrica che ho curato per anni sull’Unità on line) che ha qualche “smagliatura” e molti peccati originali.
Il peccato originale di fondo è la mancanza di indipendenza dal potere politico-amministrativo.
Il sistema ispettivo italiano, infatti, è tutto interno all’apparato amministrativo e sembrerebbe (il dubbio viene proprio leggendo il cv di ispettori Miur in servizio) anche poter essere permeabile alla selezione attraverso spoil system e non nel modo previsto (il pubblico concorso) dall’art. 97 della Costituzione.
Nella patria dello spoil system che non sono gli Stati Uniti ma siamo noi, può accadere allora che ci si renda conto di quanto nuoccia la mancanza di indipendenza solo quando si finisce sui giornali per storie altrimenti poco note all’opinione pubblica.
Le smagliature vengono fuori, ad esempio, quando accadono vicende come quella recentissima dell’ispettore Miur Marco Bruschi meglio noto ai lettori come Max. “Se è credente preghi molto, ma molto, che io non sia chiamato a valutarlo“.
Questa è la frase testuale non contenuta in una comunicazione ufficiale a sua firma ma affidata (ed è ben più grave a mio giudizio) all’oracolo del mondo moderno che si chiama Facebook, nelle pagine del profilo a firma Max Bruschi, ed indirizzata ad un preside reo di aver applicato male uno dei principi della brutta scuola.
E’ evidente, però, che il peso di quello che scrive un funzionario non indipendente come in Gran Bretagna ha, agli occhi dell’opinione pubblica, ben altro peso. Ed è altrettanto evidente che se questa vicenda fosse accaduta in un altro Paese, si sarebbe già conclusa con le dimissioni e/o con la rimozione del responsabile.
La consapevolezza della differenza fra ruolo e limiti del funzionario indipendente e  quelli del funzionario intrinseco all’amministrazione credo sia patrimonio comune.
Sarà per questo, evidentemente, che i presidi di Anp e Dirscuola ora gridano, a proposito della vicenda Bruschi, ai principi violati e all’intimidazione. Chissà dov’erano quando, invece, si segnalavano comportamenti non corretti e non congrui di alcuni dirigenti scolastici sulle procedure della chiamata diretta.
Ora, non per buttarla in politica, ma se la Buona Scuola è applicare la logica del bullo (copyright della preside Maria Pia Veladiano su Repubblica) ai rapporti fra i soggetti protagonisti della scuola, si capisce che i timori espressi dal vasto fronte di opposizione a quella idea di scuola hanno trovato conferma chiara nel comportamento non di un quisque de populo ma di un funzionario inquadrato nei ruoli del Miur.



Non c’è chi non veda che se i meccanismi di controllo e supporto prevedono il ricorso alla minaccia pubblica e al pubblico ludibrio a livello alto (un ispettore ed un dirigente scolastico) è facile verificare cosa accade già ora ed immaginare cosa accadrebbe, ad esempio, nei rapporti fra dirigente scolastico e docenti in un sistema basato su meccanismi addirittura di scelta libera e non basati sul concorso pubblico.
Le pagine dei siti scolastici ed anche di qualche giornale sono pieni di episodi ed avvisaglie relative alla prima applicazione della cosiddetta “chiamata diretta”. Presidi che chiedono alle docenti se hanno gravidanze in vista o curricola disegnati ad personam con titoli tanto rari quanto inusuali e poco congrui.
Tutto questo accade già oggi nell’Italietta della chiamata diretta.
Chi ha la bontà di leggere i miei commenti critici agli articoli in cui si cantano le lodi della “chiamata diretta”, sa che quello che viene paventato e cioè che sia un sistema basato non sul confronto e la valutazione ma sul ricatto, l’intimidazione e la sicura violazione dell’art. 97 della Costituzione non è apocalittica previsione dei gufi antirenziani. E’, banalmente, l’analisi di chi conosce la realtà italiana. Non c’è manco bisogno di scomodare il Banfield del familismo amorale, basta prestare attenzione a quello che accade nelle scuole vicine e lontane.
Devo confessare, però,  la mia iniziale meraviglia quando ho scoperto che sui meccanismi ideati dalla Buona Scuola in tema di individuazione del personale docente da parte dei presidi ha avuto modo di dire la sua addirittura Raffaele Cantone, il magistrato designato all’Autorità Anticorruzione.
Pensavo fosse una bufala fatta circolare da gufi antirenziani nel mare magnum della rete perché non riuscivo ad immaginare cosa potesse interessare a Cantone del meccanismo della “chiamata diretta”. Poi ho verificato che Cantone ha individuato quei meccanismi e quello della scelta dei libri di testo da parte dei docenti come soggetti, in ipotesi, a pratiche di corruttela. Se ora ci aggiungiamo anche il meccanismo della minaccia pubblica alla Bruschi, il cerchio si chiude.
Resto in fiduciosa attesa delle valutazioni sulla vicenda Bruschi che farà l’attuale ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Resto, in altrettanta fiduciosa attesa delle decisioni, in materia di brutta scuola renziana, della Corte costituzionale ed anche dell’eventuale futuro referendum abrogativo di alcune parti della legge 107/2015.
Anche perché, a differenza di Bruschi (lo ricordo teorico, ai tempi della Gelmini, della “educazione alla legalità senza le leggi” e difatti Bruschi e la Gelmini eliminarono lo studio del diritto nelle scuole superiori italiane), io alle leggi ci credo e nelle leggi confido.
E lascio, perciò, fuori la fede religiosa inopinatamente evocata da Bruschi nel suo editto facebookiano.

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