Sono i giorni in cui si riprende a lavorare anche a scuola. Sì, certo, gli insegnanti sono fortunati, hanno un sacco di ferie e sarebbe anche ora che ritornassero al lavoro. Metto le mani avanti con gli amici che mi ritengono un privilegiato e dico che credo anch’io che sarebbe ragionevole ripensare molto attentamente al nostro impegno, ai nostri orari, alle nostre ferie. Ma non mi avventuro in discussioni troppo complicate con loro, ci sono cose nel mondo della scuola che ai più appaiono tutt’altro che ragionevoli. E, a dire la verità, anche a quelli che nella scuola ci stanno dentro da tanto, come me. 



Proprio ieri, nel solito giro di saluti prima dell’inizio delle riunioni di settembre, una mia collega di lettere, che chiamerò qui Anna, mi ha raccontato della sua estate di concorsi e tristezza. Aveva appena finito di leggere il mio ultimo articolo di lunedì scorso: la mamma felice con il suo bambino se ne andava dalla scuola dove aveva passato la prova orale e tornava al mare. Bene, mi dice Anna: io un po’ la invidio questa qui. Io, dice Anna, sono rimasta in vacanza perché sono una delle tante che non ha passato nemmeno lo scritto. 



A me spiace e davvero non capisco come possa essere successo: Anna da ormai dieci anni insegna, ha fatto la Ssis, la scuola di specializzazione che fino al 2010 era l’unica forma per conseguire l’abilitazione e che poi è stata sostituita dai corsi Tfa; da anni, quindi, insegna nelle scuole italiane, ogni anno con un incarico annuale, ogni anno con serietà e competenza, talvolta purtroppo ricominciando da capo in classi diverse o addirittura in scuole diverse. 

Anna al telefono è un fiume in piena e racconta che a lei non sembrava proprio di avere fatto disastri nella prova scritta, che è in grado di formulare un’autovalutazione serena di quello che fa e che voleva essere sicura di quello che era capitato. Lei, come molti altri, ha chiesto di potere vedere la prova con la misurazione e la valutazione delle risposte. Risultato? Nelle risposte aveva sempre ottenuto un giudizio positivo, eppure il computo finale risultava appena sotto la soglia della sufficienza, una cosa di un punto e mezzo, una quisquilia.



Com’è possibile che due più due faccia tre? chiedo io. Anna è onesta, non racconta bugie, neanche al telefono, neanche singhiozzando un po’ come adesso: la metà delle risposte in lingua inglese erano insufficienti, ma ti giuro, mi dice, erano quesiti quasi incomprensibili. E’ bastato questo per non ammetterla all’orale? Brava quella mamma lì del tuo articolo, mi dice, io ho fatto davvero quello che ero capace di fare, ma forse per la scuola italiana non è sufficiente, tutto a un tratto la scuola italiana è diventata intransigente e selettiva. Se non fosse che la sua voce ha dentro un magone enorme, verrebbe proprio da ridere. 

Come faccio a raccontarlo ai miei amici impiegati, imprenditori, operai? Come faccio a dire loro che c’è una persona che ha frequentato dei corsi di formazione al termine dei quali ha ottenuto l’abilitazione all’insegnamento e che questa persona, che lavora da dieci anni nella scuola a pieno titolo, oggi viene bocciata a un concorso ordinario e dunque non ha diritto ad avere una cattedra? Verrebbe proprio da ridere: Anna nel mese di luglio è stata ritenuta non idonea ad avere una cattedra, ma in questi giorni verrà richiamata per avere un incarico annuale, perché con questi benedetti concorsi non riusciranno a coprire i posti vacanti rimasti.

Qual è quell’imprenditore che farebbe una cosa del genere? Qual è l’istituzione che ti assume dopo averti detto che non sei idonea a fare il lavoro per il quale ti chiama? Certo, ci sono troppe cose che in questo mondo continuano ad apparire senza senso e figurati se mi avventuro a parlare con i miei amici dell’orario, del tempo pieno, del merito e dell’autonomia. 

No, soltanto chiudo anch’io immalinconito la telefonata con Anna: il giorno del collegio iniziale lei non ci sarà, come sempre negli ultimi anni. Arriverà dopo, con la benedizione del ministro che qualche mese prima l’aveva buttata fuori, con gli alunni che per un mese avranno lavorato con non si sa bene chi e che la accoglieranno con una festa e che non sanno che anche questa volta Anna ha su un timbro con la scadenza. E che, anzi, dovrebbe già essere stata buttata via, che è lì per un mistero doloroso del rosario di errori che questa scuola continua a snocciolare senza vergogna. 

Ciao Anna. E consolati un po’: se non altro così eviterai quell’altro fiume di insensate sciocchezze che si riverserà nel grande, enorme collegio docenti del primo giorno di settembre in tutta la scuola d’Italia intransigente e selettiva.