Caro direttore,
È un anno scolastico che si presenta pieno di grandi promesse quello che oggi comincia con l’ingresso in classe degli studenti, un anno in cui la scuola si apre a nuove e più dirompenti prospettive.
Diventano stabili le presenze di tanti giovani e non molto giovani insegnanti, la “Buona Scuola” viaggia a velocità di crociera, l’alternanza scuola e lavoro sta trovando la strada giusta per diventare un’esperienza reale, le competenze sono ancora un miraggio, definite astrattamente ma non ancora conquistate nella pratica quotidiana della scuola, la rivoluzione informatica è più rivoluzione di strumenti che non della didattica, più rete di informazioni che non spazio nuovo e più incisivo di comunicazione. La scuola di fatto sta cambiando, bisogna capire al più presto in che senso per poterne seguire la traiettoria e non rimanere ai blocchi di partenza.
La novità più significativa della scuola è l’ingresso di giovani che hanno uno sguardo diverso da quello che si è affermato in questi anni e che ha depresso la speranza di tanti, troppi studenti. Se capitasse ad una persona che non sa di scuola di entrare una mattina in aula insegnanti avrebbe uno scarto nell’impatto, troverebbe solo giudizi negativi, lamentele che si rincorrono di bocca in bocca, un diffuso elenco di incapacità e di incoerenze, di mancanze e di cose che non funzionano. Così fare l’insegnante, che un giorno era il mestiere più bello del mondo, è diventato un sacrificio inutile prima ancora di cominciarlo, un’impresa dal fallimento pressoché assicurato. Era un clima soffocante quello che si era imposto tra gli insegnanti, e il pensionamento l’obiettivo più allettante, cioè andarsene al più presto.
La classe insegnanti, al di là di qualche rara eccezione, in questi anni è invecchiata in modo notevole, invecchiata come spirito prima ancora che anagraficamente e questo condanna la scuola nel letto di Procuste della rassegnazione, la negazione di ciò che invece porta l’educazione ogni giorno — un’apertura positiva, la speranza che le cose possano cambiare.
Di fronte ad una mentalità così forte e diffusa si è avuta l’impressione di non poter fare nulla, come una resa che pian piano ha bloccato anche chi una positività ha continuato a riconoscerla, perché presente e incalzante dentro la vita quotidiana della scuola.
Ma la realtà non è quella di tante aule insegnanti, la realtà non è’ che gli studenti sono ignoranti e svogliati, la realtà non è che i ragazzi di oggi non vogliono assolutamente imparare, la realtà non è che queste sono generazioni grette e insignificanti. La realtà è che il desiderio che i giovani sentono quanto mai incalzante è il desiderio di vivere.
Questo è ciò che vibra oggi dentro le classi, un desiderio quanto mai dirompente di vita, e cerca chi lo sappia valorizzare, così che leggere una poesia o fare un esercizio di matematica sia riempire il tempo, gustandolo. Questo è ciò che urge, non sapere tanto o poco, non bloccare nuove informazioni, ma vivere intensamente, gustarsi un’ora di lezione: di fronte a tante e tante partenze false occorre finalmente uno scatto vero, lo scatto verso qualcosa di bello e affascinante, che entrare in classe abbia l’orizzonte ampio della vita, e non l’opaca sensazione di qualcosa che si perde.
Questo è ciò che quest’anno tutti vogliamo, che andare a scuola sia l’occasione di scoprire qualcosa di positivo, e a questo può rispondere la gran massa di giovani immessi dal governo Renzi dentro i collegi docenti. Essi, come del resto gli anziani professori, devono decidere se assecondare questa istanza di vita o se perdersi ad analizzare ciò che non va. Questo il problema serio di questo nuovo anno scolastico; la domanda, intensa e dirompente, troverà chi la rilancia aprendola a nuove prospettive? Oppure vincerà ancora chi vorrà rimanere a indicare ciò che non funziona, aggiungendo note fosche al già negativo panorama della vita scolastica? Tutti dobbiamo decidere se continuare a lamentarci di una scuola imperfetta o se abbracciare questa imperfezione, facendo esplodere nelle sue pieghe la forza di vita che ognuno porta con sé, insegnante e studente.
Protagonista non è la situazione, protagonista è l’uomo, se vuole esserlo.