Mentre il Governo si appresta a varare la riforma della dirigenza pubblica, il Miur nomina più di 70 nuovi dirigenti senza concorso, senza rendere noti i criteri di selezione per l’attribuzione degli incarichi e senza stilare alcuna graduatoria. 

L’unica ad aver rilevato l’irregolarità della procedura, risalente alla fine del giugno scorso, è stata la senatrice del M5s Enza Blundo, componente della commissione Istruzione e Cultura del Senato, che ha rivolto un’interrogazione parlamentare al ministro Stefania Giannini in cui denuncia la “palese violazione delle regole” e l’assenza di imparzialità e trasparenza nella nomina dei dirigenti:  “Nonostante sia riconosciuto, anche nella legge 107, in capo al Ministero l’obbligo di pubblicità, sia negli avvisi dell’amministrazione centrale che in quelli degli uffici scolastici regionali, dei criteri di scelta dei candidati e delle relative tabelle di valutazione, il Miur ha pensato bene di omettere tale passaggio” — scriveva la Blundo — “con una procedura che fa quasi pensare a un modus operandi finalizzato a individuare criteri di valutazione volti a favorire alcuni candidati rispetto ad altri“.



La Corte costituzionale con la sentenza 37/2015 aveva infatti già dichiarato l’illegittimità costituzionale del sistema di assegnazione di incarichi dirigenziali ai funzionari, secondo l’applicazione distorta dell’articolo 19, comma 6, che ne danno praticamente tutte le amministrazioni, e l’irregolarità delle continue proroghe degli incarichi a contratto. 



Anche la Corte dei Conti, sulla base delle disposizioni legislative, pretende che vi sia una selezione seria del soggetto da acquisire come dirigente, alla luce di una valutazione molto profonda delle competenze dimostrate, requisito indefettibile qualora sia incaricato non mediante la strada maestra del concorso, bensì attraverso il più contorto sistema degli “incarichi a contratto”. 

Secondo la sentenza 37/2015 “i requisiti devono essere quelli previsti dall’articolo 28, comma 2, lettera b), del d.lgs. 165/2001 e cioè la laurea e un’esperienza dirigenziale anche in ambito privato che dimostri la sussistenza dei requisiti di particolare e comprovata qualificazione professionale necessaria per il conferimento dell’incarico”. Nel caso del Miur, sarebbe interessante sapere su quali basi è stata accertata la “particolare e comprovata qualificazione professionale” dei neo-dirigenti. 



In presenza di ricorsi, le commissioni tributarie ed anche i tribunali ordinari hanno ormai assunto un orientamento comune considerando i provvedimenti dei dirigenti senza titolo addirittura nulli, poiché nella gran parte dei casi essi vengono incaricati in modo fiduciario dagli organi di governo per ragioni di “affinità” politica. Questa discutibile prassi porta, per di più, alla paradossale conseguenza che un dipendente possa intrattenere due distinti rapporti lavorativi con il medesimo datore di lavoro pubblico: quello da funzionario, sospeso per aspettativa e quello da dirigente, attivo ed efficace. Una situazione inconcepibile nel panorama giuridico, dato che anche se dovessero subire le conseguenze di un cambio di maggioranza, i dirigenti non perderebbero il posto di lavoro ma tornerebbero a svolgere l’attività di funzionario, non avendo mai acquisito la qualifica dirigenziale per superamento del concorso. Al contrario, i dirigenti di ruolo che, nel rispetto della Costituzione, hanno ottenuto la qualifica a seguito di concorso, se valutati negativamente rischiano il licenziamento. 

Un Governo serio avrebbe dovuto intervenire ed imporre l’immediata decadenza da tali incarichi, per evitare che anche i loro provvedimenti possano ricevere il crisma dell’illegittimità o della nullità, ma soprattutto per riportare l’organizzazione a conformità. Invece, si riscontra la più totale inerzia e questa vergognosa prassi continua, con incarichi affidati arbitrariamente senza che siano specificati i requisiti richiesti, i criteri di valutazione e senza istituire una graduatoria. Gli organi di governo che hanno affidato incarichi dirigenziali ai funzionari “affini” ovviamente si guardano bene dal rivedere le proprie decisioni, confidando che nessuno presenti ricorsi sugli atti adottati.

A questo punto ci chiediamo quale altro organo di giustizia debba pronunciarsi per ottenere il ripristino un minimo di legalità all’interno del comparto pubblico.