Tutti stiamo sottolineando, se non denunciando, le difficoltà di questo inizio d’anno scolastico.

Difficoltà che, oramai, si ripresentano anno dopo anno. Con o senza la cosiddetta “Buona Scuola” del governo. Difficoltà che non dipendono, come sappiamo, dalla direzione regionale o dal nostro provveditorato, ma da un modello di gestione degli organici che è obsoleto, incapace di incrociare domanda di qualità e funzionalità del servizio.



Qual è il vulnus, il peccato originale, che sta alla base di tutto questo? E’ la gestione centralistica del personale, degli organici, delle risorse umane, ma anche finanziarie.

Il nostro ministero dell’Istruzione, è bene ricordarlo, è, dopo il Pentagono, la più grande agenzia del lavoro al mondo, con un milione circa di dipendenti. Facile comprendere come sia, nei fatti, impossibile gestire in modo equo e secondo merito il personale della scuola. Con concorsi nazionali, su base regionale, di fatto malgestiti, sempre protesi a rispondere alla logica assistenzialistica per la quale la scuola non viene considerata in virtù della sua capacità di rispondere alle domande formative delle nuove generazioni, in relazione cioè ai “saperi essenziali” e alle competenze spendibili, ma alla collocazione di personale laureato, altrimenti disoccupato.



Mi è capitato, più volte, di sentire, in particolare in alcune regioni: “ho una laurea, lo Stato mi deve trovare un posto di lavoro”. Un non-senso.

Per riorientarsi, secondo una logica accettabile, in questo guazzabuglio, dobbiamo rispondere a due questioni: togliere al ministero la gestione del personale, affidandola alle “scuole autonome”, che dovranno diventare sempre più, come nella provincia di Trento, espressione delle “autonomie locali”; ripensare il ruolo del ministero, cioè dello Stato, in termini di indirizzi, di standard da garantire e, soprattutto, di verifica e di controllo.



Questi i presupposti-base della vera “buona scuola”, per poi avere presidi, docenti e personale Ata davvero capaci di assumersi la responsabilità del servizio pubblico scolastico. Per il bene dei nostri ragazzi innanzitutto, delle loro famiglie, del nostro sistema Paese.

Anche i sindacati (è il loro mestiere) stanno protestando per le difficoltà di questo inizio d’anno scolastico. Ma sono in grado di ripensarsi intorno alla domanda di una professionalità (presidi, docenti, personale) davvero funzionale alla qualità richiesta di questo servizio pubblico? Questa sfida l’hanno compresa, o preferiscono rifugiarsi nel vecchio modello assistenzialista, quello che ha portato alla recente sanatoria, con immissione in ruolo di docenti non più giovani, senza alcun filtro qualitativo? A danno, ancora una volta, dei più giovani?