Tempo fa mi capitò di dialogare con un ragazzo appassionato di storia. Discutemmo a lungo e mi accorsi che era facile per lui entusiasmarsi sia per piccole scoperte che per le letture fatte.
Di fronte a un tale entusiasmo mi fu naturale fare una domanda apparentemente semplice: “Perché ami la storia?”. Dopo un attimo di esitazione il mio interlocutore rispose: “Perché è bello!”. Una risposta non banale ad una domanda che, in realtà, in quel momento stavo rivolgendo anche a me stesso.
Che sia bello studiare la storia non è certo una novità. Anche Marc Bloch contemplava questa dimensione estetica come una delle ragioni per cui ci si avvicina allo studio del passato; ma questa non era certamente la sola a motivare lo storico e infatti lo stesso Bloch scrisse nell’Apologia della Storia che il recupero di una memoria collettiva può essere il punto di riflessione per una società che intenda affrontare i suoi problemi.
A questo punto della discussione sentii il dovere di incalzare chi avevo di fronte: “…e basta?” In questo caso la risposta fu assolutamente più sicura: “Certo! Pensi ancora che la storia possa insegnare qualcosa agli uomini d’oggi? Se le società hanno imparato dagli errori del passato è… per farne altri sempre di nuovi!”. Mi misi a ridere. Ciò nonostante continuai a riflettere a lungo sopra questo dialogo.
L’episodio che ho appena narrato potrebbe essere considerato come una testimonianza di una certa crisi degli studi storici. Una crisi che Ovidio Capitani, docente di storia medievale nell’Università di Bologna e attento osservatore dell’orizzonte storiografico, considerava inarrestabile. Ma se un problema nell’ambito della riflessione storiografica esiste, questo in cosa consiste? Di per sé studiare storia perché è bello non è un problema. Forse a doverci interrogare dovrebbe essere il rifiuto del nostro passato considerato come irrilevante per una piena comprensione del nostro presente. Un rifiuto talmente ben inserito nel pensiero dominante che, a mio modesto parere, difficilmente si è in grado di prenderne coscienza, anche nella normale didattica scolastica.
Tra i diversi e possibili approcci allo studio della storia, due mi sembrano essere gli estremi entro i quali questi possono oscillare: uno studio della storia come analisi delle espressioni umane e uno studio che è invece comprensione delle esperienze. Questi due orientamenti, per quanto complementari, nascono da basi sostanzialmente diverse e soprattutto portano ad esiti culturali tra loro sostanzialmente distanti.
La prospettiva di una scuola che si rapporta alla storia come espressione di una società presenta un iniziale vantaggio: si misura infatti con oggetti chiari, prendendo in rassegna le molteplici manifestazioni della creatività, della vita politica e sociale e dell’economia delle società che si studiano. Un tale accostamento alla storia ha la non trascurabile capacità di mettere tutti d’accordo e di adeguarsi al politicamente corretto.
Inoltre, passare in rassegna le diverse espressioni del passato è relativamente semplice e risponde alle curiosità di molti. Tuttavia è questo un approccio che finisce per creare un antiquariato delle tradizioni, alla fine poco interessante per chi desidera andare fino in fondo alle cose e che appiattisce la problematicità dei fatti trasformandoli in semplici dati da registrare e catalogare.
La prospettiva di una scuola che si rapporta alla storia come esperienza di uomini con tutte le loro domande racchiude in sé una problematica di fondo perché pretende di ricercare dietro ad ogni fatto l’esperienza umana che l’ha generato. È un approccio che rompe ogni forma di schematismo e che impone allo studioso il coraggio di fare delle scelte, magari avvicinandosi a storie che possono dialogare in modo più evidente al vissuto di ognuno. Tuttavia questo modo di fare ricerca finisce per educare uno sguardo sugli uomini e la società.
Sono convinto che oggi più che mai la scuola dev’essere in grado di proporre la storia e la cultura come espressioni di un’esperienza, altrimenti si corre il duplice rischio di uscire dalla scuola dimenticando le cose studiate e finire per godere della cultura che viene dalla nostra tradizione senza crearne di nuova.
Inoltre bisogna ricreare una memoria collettiva, che può essere tale solo se condivisa e non soltanto marginalizzata nell’angusto alveo dell’erudizione. Altrimenti, riprendendo Bloch, sarà sempre più difficile una riflessione matura da parte di una società che intenda risolvere i suoi problemi.
Uno snodo significativo per comprendere le più importanti questioni ancora aperte del mondo contemporaneo è sicuramente il ‘900. Alcuni anni fa Bracher definì il XX secolo come il secolo delle ideologie. Queste hanno avuto la propria incarnazione nel fascismo, nel nazionalsocialismo e nel comunismo. Sconfitti nazionalsocialismo e fascismo nella seconda guerra mondiale, crollato nel 1991 il comunismo sovietico con il suo sistema, è parso a molti che si sia aperta un’epoca “post-ideologica”.
Si tratta di un passaggio fondamentale che non può essere compreso se ci si limita a considerare i singoli modelli ideologici come semplice espressione di una situazione storica o di un modello teorico. Una piena consapevolezza dei passaggi epocali a cui la fine del secolo scorso ci ha costretto ad assistere si può avere soltanto se si esplicitano questi modelli attraverso le esperienze che hanno avuto la pretesa di dare ad esse un corpo. Il continuo dialogo tra teorie politico-filosofiche e i tentativi di messa in pratica in contesti spesso distanti tra loro si offre — agli occhi non solo dello storico ma di tutti coloro che si misurano con la tradizione del ‘900 — come un elemento caratterizzante il secolo in grado di aprire approfondimenti interessanti e prospettive di stimolante problematicità.
Questo aspetto della storia del ‘900 si presta pertanto ad affascinanti confronti presentandosi come straordinaria palestra di riflessione storica e di dibattito storiografico.
Con questa consapevolezza insieme a Marco Ferrari, collega di storia e filosofia presso il Liceo Malpighi di Bologna e allo staff dell’Associazione Tokalon, abbiamo pensato al Webinar sul ‘900 dal titolo Novecento e oltre. Teorie, prassi politiche e problemi aperti. L’iniziativa prevede una serie di lezioni sulle diverse declinazioni del modello comunista, le derive del fascismo, l’affermazione del liberalismo, del fondamentalismo islamico, il problema della globalizzazione e del terzomondismo. Gli incontri, che sono riconosciuti dal Miur come aggiornamento per gli insegnanti, si terranno a Bologna con alcuni tra i più autorevoli esperti di storia del ‘900 e del pensiero politico e sarà fruibile in diretta streaming in tutte le scuole d’Italia che ne faranno richiesta.
Il motivo che anima l’iniziativa trova ispirazione nel desiderio di avvicinare la storia politica del secolo passato all’esperienza di ragazzi per i quali le ideologie sono forse lontane delle loro categorie culturali, ma che rimangono desiderosi di incontrare storie comunque in grado di interrogare. Forse dagli errori della storia le società non hanno imparato molto, ma non si potrà mai fare a meno di interrogarsi sopra i fatti del nostro passato. È questo il bello della storia.