Nel Piano triennale relativo alla prevenzione della corruzione come anche nella gestione nell’ultima versione ISO 9001.2015 si parla di rischio, di gestione del rischio, di cultura della prevenzione.

Il concetto di “rischio”, dunque, è entrato a pieno titolo nella considerazione della vita amministrativa, al di là dei consueti rilievi sulla nostra vita relazionale. Dire “rischio” è altro modo per dire “vita come possibilità”.



Nel mondo della scuola, per la peculiarità che la caratterizza, il concetto di rischio rimanda in particolare al binomio libertà-responsabilità. Più che contesto soggetto a possibile corruzione, dunque, come terreno per la cultura della prevenzione.

Se ci poniamo dal punto di vista dei ragazzi, anzitutto, e delle loro famiglie, quel concetto ci dice la centralità che il nostro servizio pubblico è chiamato a riconoscere. Siamo davvero, cioè, al servizio dei nostri utenti e del nostro sistema-Paese? 



Se ci poniamo, invece, dal punto di vista sociale-territoriale ed istituzionale, è evidente la consapevolezza su una offerta formativa che noi siamo tenuti a qualificare, per rispondere al meglio alle nuove domande formative e al nostro tessuto sociale.

Per tutti noi, operatori della scuola, dunque, è un’ottica da tenere ben presente, e che qualifica il nostro ruolo, le nostre mansioni, le nostre responsabilità. Dato lo sfondo educativo e culturale, e tenuti presenti i percorsi di istruzione. Non possiamo, cioè restare indifferenti di fronte ai dati sociali, in alcune statistiche drammatici.



Lo stesso vale anche per il preside, alias dirigente scolastico? 

Si diceva, il rischio è in funzione della libertà-responsabilità. Dunque per il preside, chiamato a coordinare più che a dirigere una comunità scolastica, diversi sono i “fattori di rischio”.

Anzitutto, in relazione alle persone, cioè ai docenti, ai dsga, agli amministrativi, ai collaboratori scolastici.

Se è, come si sente ripetere, “responsabile del servizio”, con precisi percorsi di miglioramento inseriti negli incarichi triennali, vincolanti e tenuti alla verifica da parte di un nucleo esterno, in realtà può ben poco: per la stabilità, senza limiti temporali, del personale “di ruolo”, per le graduatorie per il personale non di ruolo, perché l’automatismo delle stesse graduatorie non produce incarichi secondo criteri di qualità, ma incarichi qualunque, neutri, non rispettosi della dignità delle persone. Trattate come numeri. Perché, lo sappiamo tutti, una cosa è sapere, altra è saper fare. 

Ha provato a porre rimedio a questa evidente (tutti nel mondo della scuola lo sanno) mancanza la famosa “chiamata diretta”, con incarichi triennali, oggi in via di ripensamento. Un passo coraggioso, quello della chiamata diretta, ma non compreso nella sua valenza positiva. Altra deve/dovrebbe, poi, essere la verifica perché questa modalità sia equa e trasparente.

Il preside, dunque, responsabile di tutto, in realtà di ben poco, sul personale che coordina, come sulle strutture. 

Altro fattore di rischio, sempre più evidente, sono le famiglie. Comprese le pressioni per avere, per i propri figli, i docenti migliori (anche a scuola vale la regola sociale della “reputazione”). Ma rischio anche in positivo, nei termini di un loro coinvolgimento nella vita delle scuole, oggi meno evidente di alcuni anni fa. 

E per gli studenti? Che dire del “rischio educativo” che vivono quotidianamente? Eppoi, del rischio concreto, ad esempio, di una copiatura di un compito, senza sapere che, alla fine, copiando, al di là del falso in atto pubblico, non è che imparano, ma imbrogliano. Qui si annida, come vuole il documento sull’anticorruzione, l’educazione alla prevenzione, la cultura della prevenzione, della legalità, dell’equità.

Proprio su questo punto, di converso, vale il nostro ruolo, preside e docenti, nei loro confronti. Per una responsabilità come monito ad un servizio di qualità, e dall’altro per un quadro valutativo per il quale tutti noi, nel mentre valutiamo, siamo tutti valutati. Per questo motivo ho, per così dire, imposto ai miei docenti le prove comuni per classi parallele, con la possibilità di decidere chi debba poi valutare i compiti delle singole classi. Un monito al lavoro di squadra. Questa è l’area di rischio più evidente, che salta subito all’occhio. In particolare durante gli scrutini. Quando le differenze, per classi parallele, si fanno di una evidenza imbarazzante. A che servono i dipartimenti, prima dei consigli di classe, se non a prevenire, alla fin fine, questi imbarazzi? 

Poi il rischio lo si ritrova quotidianamente in tutti gli atti amministrativi, per i quali il rapporto di fiducia, fatto di competenza e di continuo interscambio, con i dsga e con gli assistenti amministrativi, è pane quotidiano. 

Rimane, infine, il tema delle strutture, con i problemi che conosciamo, comprese le implicazioni con gli enti locali, come anche con gli organi di stampa.

A dar man forte, come cultura della prevenzione anzitutto, per tutte queste aree del “rischio”, in realtà della libertà-responsabilità, vi è l’adozione del “sistema qualità”. Un sopporto, per chi ce l’ha, fondamentale, ineliminabile. Perché dice in concreto quell’orizzonte di “servizi” che deve essere garantito per poi svolgere, con consapevolezza del valore e dei limiti, il proprio servizio pubblico. Oltre le solite ed arcaiche autoreferenze, fonte di iniquità, di incomprensioni, di mancato servizio di qualità.