“Troppo effeminato, tredicenne tolto alla madre. E a Padova scoppia la polemica”, o almeno così auspicherebbe il titolista di Repubblica che rilancia la notizia che il Mattino di Padova ha messo in prima pagina martedì 10 gennaio. Senza il contorno di un po’ di polemica, si sa, i lettori sono meno motivati a seguire i commenti.
Anche l’Ansa rilancia la notizia con un titolo fotocopia: Minore allontanato da madre perché “effeminato”. Se solo l’articolista avesse pensato a un punto di domanda in fondo a quella frase, il titolo sarebbe anche buono. L’effetto del supplemento di punteggiatura sarebbe evidente: il colore della cronaca virerebbe immediatamente e con esso anche il senso dell’articolo. Tutto meno enfatico, e molto probabilmente più aderente alla complessa “realtà dei fatti”. La cronaca non è mai banale, così come non lo sono i registri scelti per presentarla e commentarla. La vicenda del giovane tredicenne oggetto in questi giorni di molte attenzioni mette alla prova l’approccio del mondo della comunicazione su alcuni importanti snodi della vita di ciascuno, dalla differenza sessuale (nel suo manifestarsi nella pubertà) alle relazioni (partendo da quelle in famiglia), alla vita dei singoli nel contesto delle leggi e delle istituzioni, che rappresentano lo specifico della vita umana, la quale non è mai puramente biologica, ma sempre giuridica.
Entrambi gli articoli fanno leva sulla tesi dell’avvocato difensore della famiglia, che fa ottimamente il proprio dovere cercando negli atti della controparte i punti deboli e le crepe dove infilarsi per demolire la tesi avversa: “scandalizza, ha dichiarato il legale, la decisione di allontanare un ragazzino solo per l’atteggiamento effemminato. Mi sembra un provvedimento di pura discriminazione”. E se così fosse l’avvocato avrà anche vita facile nel far valere nelle sedi deputate i diritti dei genitori suoi assistiti. Mentre le difese dei diritti del figlio sono prese d’ufficio dal Tribunale per i minori.
Dalle scarse notizie riportare dai media non è facile farsi un’idea della vicenda, salvo il palpabile interesse mediatico a presentare i fatti come un possibile caso di discriminazione omofoba perpetrato dal Tribunale per i minori. Se fosse vero, lo scoop sarebbe assicurato, ma intanto è sufficiente una mezza notizia per alimentare il dibattito. Almeno in attesa di una smentita che infatti non si fa attendere. Ne dà conto un pezzo equilibrato del corriere.it pubblicando la smentita del presidente del Tribunale dei minori di Venezia, Maria Teresa Rossi, che replica: “Non allontaniamo un minore dalla famiglia perché ha un atteggiamento effeminato. Noi non facciamo discriminazioni di natura sessuale o di tendenza. Il nostro interesse riguarda il comportamento complessivo di un minore se presenta o meno difficoltà”.
A dire il vero anche l’articolo di Repubblica lascia intravedere una situazione familiare complessa e drammatica: un abuso sessuale infantile da parte del padre, riconosciuto innocente in un secondo tempo dal Tribunale ordinario, che nelle motivazioni della sentenza precisa: “non c’è motivo di dubitare dei fatti raccontati dal bambino”. A indicare che — vere o false — le accuse al padre erano partite dal bambino. “Tutto e il contrario di tutto” è il commento sconsolato dell’articolista, anche se le cose non sono poi così confuse, perché il Tribunale ordinario e quello per i minori sono due istituzioni distinte e le sentenze del primo non si sovrappongono a quelle del secondo. Se i racconti del bambino non si sono rivelati sufficienti elementi di prova per il Tribunale ordinario, non per questo essi perdono importanza per l’altro Tribunale. Sul possibile mix di contenuti reali e fantasticati in questo genere di comunicazioni non mi addentro. Mi limito a segnalare che fu una delle delusioni più cocenti di Freud, annotate nella sua Autobiografia (1924), doversi render conto che alcune comunicazioni di abusi sessuali subiti da suoi pazienti in età infantile si erano poi rivelate frutto di elaborazioni psichiche, tutt’altro che prive di motivazioni, per quanto false.
Ad alcuni, già dai tempi del Guardasigilli Roberto Castelli, il Tribunale per i minori non piace e i progetti per una sua abolizione e accorpamento con il Tribunale ordinario — aleatori o meno che siano — non mancano neppure ora. Per altri esso è invece il simbolo dell’eccellenza della civiltà giuridica italiana. Certo si tratta di un’istituzione che è stata posta (le istituzioni non nascono spontaneamente) a monito dei genitori, che non si scordino che il vantaggio della relazione coi figli non è un diritto naturale, ma una prerogativa che va meritata e mantenuta con una condotta perlomeno non (clamorosamente) dannosa per il figlio. In altre parole il figlio non è mai un diritto: pensiero chiaro, ma a volte poco distinto nella mente di molti, sia etero che gay.
Il giovane tredicenne padovano viene presentato dal Decreto che lo allontana provvisoriamente dalla madre come ostinatamente provocatorio. Atteggiamento che lo mostra come un soggetto attivo, magari iperattivo, ma non rassegnato. Pro-vocare significa chiamare (vocare) altri in proprio favore. Con il suo comportamento il “ragazzino” in questione ha sicuramente provocato qualcosa. Ora si tratterà anche per lui di essere all’altezza di ciò che ha provocato e saper trarre vantaggio da tutti gli aiuti che gli sono e gli saranno messi a disposizione, perché per ricevere un aiuto, anche a tredici anni, la provocazione, da sola, non basta.