Continuiamo così. Facciamoci del male. Andiamo avanti con questi puntini di sospensione che ormai popolano non solo i messaggi dal cellulare, ma i bigliettini di auguri, le lettere di addio, digitali e non, e anche, soprattutto quelle d’amore. Un amore appassionato, tanto traboccante da non essere contenuto, tanto da debordare oltre le parole e quindi capace solo di morire dentro questi puntini benedetti con i quali chissà cosa mai potrà lasciare intendere l’autore di tanto caloroso messaggio.
Le vecchie grammatiche italiane, quelle che ancora parlavano di segni di interpunzione o punteggiatura, ci dicono che vanno usati, questi strabenedetti puntini, quando non si vuole dire tutto il proprio pensiero o si vuole lasciare sottinteso qualcosa che si può facilmente intuire, o per staccare una parola dal resto della frase specialmente quando essa ha valore ironico o scherzoso. Allora, qualche piccolo esempio: se tu non continuerai a studiare… (si capisce, no? Se non studi, ti boccio). Queste reti da pesca sono del tutto speciali perché sono tessute da… ragni (si capisce anche qui, il tono è scherzoso).
Dunque, un qualche senso, una qualche utilità ‘sti cosini ce l’hanno. Ma da qui a riempire cartelloni pubblicitari, scritte con lo spray sui muri, giornalini d’informazione parrocchiale e bollettini istituzionali di comuni, province e regioni — a precedere o a seguire frasi ad effetto — e ora purtroppo persino giornali e riviste, ce ne vuole. Ormai la misura è stata oltrepassata, anche perché sono arrivati i social dentro le cui righe i protagonisti principali sono proprio loro: un’affermazione e giù puntini; la confessione di avere fatto un sogno e giù puntini; una promessa e giù puntini. Magari anche accompagnati da emoticon. Aiuto, ma cosa vuoi dire con questa sospensione e le faccine che ridono o piangono?
Qualcuno potrebbe dire che ci sono problemi più importanti, che questa discussione non tocca certo questioni sostanziali della nostra esistenza, che la punteggiatura non è propriamente una questione di vita e di morte. Una vecchia storia ci spiega che non è proprio vero. Si racconta che Napoleone avesse mandato un suo messaggero presso una caserma dove si doveva svolgere un’esecuzione per diserzione. Il plotone d’esecuzione era già schierato, il messaggero arrivò dal comandante che lesse il messaggio e ordinò la fucilazione. Il condannato morì. Il messaggio recitava così: grazia impossibile, esecuzione. In realtà, quando Napoleone venne informato dell’accaduto, chiamò il suo intendente di campo e lo rimproverò spiegandogli che aveva sbagliato. L’imperatore aveva dettato infatti così: grazia, impossibile esecuzione. Andateglielo a dire a quel condannato che una virgola, che la punteggiatura non è una questione di vita o di morte!
Anche i puntini di sospensione sono letali: l’abuso della sospensione non rivela altro che la fine del pensiero, la morte del giudizio, l’incapacità di pensare. Pensare è una parola che rimanda al peso, pensare significa pesare le parole che descrivono le cose, scegliere quali usare, decidere, dire sì o no. Non lasciare sospeso nell’aria! Pensiamo a una frase come questa che una volta ho trovato scritta su un muro: sarebbe una gran bella cosa, ma… Ma cosa? Puoi lasciarmi lì il messaggio a metà in questo modo? Forse voleva solo attirare l’attenzione, dirà qualcuno. Oppure creare della suspence, convinti che il silenzio possa rendere ancora più importante quello che si scrive. Ma allora ci si renda conto che il silenzio vero è quello che viene dopo il punto e abita nella riga bianca, nel muro grigio, su ogni superficie dove si può scrivere e invece si decide di finirla. Quanti puntini di sospensione avete trovato in Leopardi? In Dante? In Manzoni? In Cormac McCarthy? In verità quando sai cosa devi dire, quando sai pesare le parole, cioè quando sai pensare, non hai bisogno di questi impostori.
Ecco, dietro questi puntini si può nascondere la menzogna, l’equivoco, il fraintendimento. Può darsi, forse è proprio così, che dietro di loro, o sopra o sotto, si nasconda davvero il balbettamento o il sonno della ragione dentro cui ormai ci troviamo. E come scriveva Goya in una sua incisione, il sonno della ragione genera mostri. I puntini di sospensione sono la lingua di questi mostri, sono la lingua che sta andando verso la sua fine, che si getta nel baratro dell’indicibile, pensando di tuffarsi nel cielo dell’ineffabile. Non c’è nessuna misteriosa verità, nessun segreto che attraverso quei puntini venga raggiunto o suggerito. Parafrasando una vecchia pubblicità progresso viene quindi da dire: chi abusa dei puntini avvelena anche te, digli di smettere. (A meno che…)