In questi giorni i decreti attuativi della legge 107/15, varati dal governo Gentiloni, sono al centro dell’attenzione dei media, ma ben altro bolle in pentola, più sostanziale. La lettera aperta che la dirigente dell’Istituto Severi di Padova ha scritto, qualche giorno fa,  sulle pagine del Corriere della Sera a un docente di diritto della sua scuola, per chiedergli perché fosse tornato al lavoro solo per un giorno, mettono il dito nella piaga sulla gestione del personale della scuola italiana. Il docente, secondo la sua preside, il primo giorno di scuola aveva presentato una domanda di permesso sino a Natale ed era riapparso in istituto il 23 dicembre, ultimo giorno prima delle vacanze. Il suo comportamento, più che legittimo, ha però fatto perdere l’incarico a una supplente giovane e motivata, che, per il meccanismo delle graduatorie non può nuovamente essere chiamata su quella cattedra. Ovviamente il professore ha potuto usufruire di un nuovo permesso e ora gli studenti hanno cambiato docente di diritto. 



Il caso di Padova non è ovviamente l’unico, anzi proprio quest’anno si è verificata una girandola di decine di migliaia di docenti con un ampio utilizzo dei docenti senza abilitazione, che di fatto ha messo in luce le grandi falle dell’istruzione italiana. Proviamo a spiegare com’è gestito il sistema delle risorse umane nella scuola statale, quali sono i risultati ottenuti dal governo Renzi e quali prospettive si aprono con la Fedeli. 



Uno dei primi obiettivi della Buona Scuola era quello di assumere tutti i docenti della prima fascia (graduatorie ad esaurimento) composta da docenti che per anni avevano avuto incarichi di insegnamento e che secondo la Corte Europea avevano i titoli per entrare a far parte del personale di ruolo. Questi prof, assunti con un meccanismo progressivo a scaglioni, sono stati assegnati alle scuole in base al piano dell’offerta formativa; alcuni hanno coperto posti vacanti, altri, chiamati in gergo i “potenziatori”, avevano il compito di rafforzare una certa disciplina o un certo ambito di studio. Ebbene, di questi docenti nell’anno in corso si è persa quasi ogni traccia. 



Poi era stata avviata la stagione dei concorsi ordinari; sia per rispondere al normale turnover, sia — anche tramite la costituzione degli organici dell’autonomia (più ampi rispetto all’organico necessario a coprire i posti) — per far scomparire in modo definitivo le supplenze annuali e intaccare le supplenze temporanee. In questa fase erano poi stati istituiti gli ambiti territoriali in sostituzione delle famigerate graduatorie, una sorta di contenitore di tutti i docenti che sarebbero stati assegnati alle classi in base alla cosiddetta chiamata diretta da parte dei presidi. 

Mai digerita dai sindacati, questa procedura permette ai dirigenti di chiamare i docenti abilitati nelle proprie scuole e, ribaltando la logica, pone in secondo piano la richiesta dei docenti di prestare servizio in una certa scuola in base al punteggio acquisito. In pratica i dirigenti di un certo ambito chiamerebbero i docenti necessari assumendoli direttamente, in base alle esigenze di un istituto o di un gruppo di istituti. Tuttavia le assunzioni da concorso ordinario sono state insufficienti, sia per la rigidità delle commissioni, sia per la lunghezza delle procedure; mentre la chiamata diretta pare essere stata messa in naftalina dal nuovo ministro Fedeli.

Sin qui però nulla di particolarmente grave. Il bello si è verificato durante la scorsa estate. Il governo Renzi, pur avendo assunto decine di migliaia di persone, era consapevole che all’interno del corpo docente e proprio in quei professori appena messi di ruolo, aleggiava molto malcontento. La partita del referendum costituzionale stava arrivando al rush finale e la scuola, visti i suoi numeri che superano il milione di addetti, rappresenta per la sinistra italiana un settore di cui non bisogna perdere il favore. La maggior parte di quei docenti che erano finalmente arrivati al posto fisso proveniva dal Sud, ma avrebbe dovuto prendere servizio nelle scuole del Centro-Nord. Molti insegnanti, tra cui tantissime donne, con famiglie e figli, sostenute dalla fanfara sindacale, tramite i giornali avevano espresso molte proteste per il fatto di dover andare a lavorare a mille chilometri di distanza. 

E così, contrariamente a quanto previsto, si è derogato all’obbligo di permanenza triennale nella provincia (o ambito) in cui i prof avevano preso servizio, offrendo a costoro la possibilità di avvalersi della cosiddetta assegnazione provvisoria (prima dello scorso agosto, ne usufruivano coloro che non avendo ottenuto il trasferimento mantenevano la titolarità nella sede scolastica di partenza, con la possibilità di andare a coprire gli spezzoni di cattedra in scuole di una provincia lontana, tra cui quella mancata. A fine anno però tutti tornavano alla scuola di partenza). 

In aggiunta alla mobilità straordinaria in tantissime province meridionali si sono riaperte in deroga le classi di concorso, in particolare del sostegno. Il risultato è stato semplice. I docenti meridionali hanno preso servizio al Nord e poi hanno chiesto assegnazione provvisoria nel sostegno nelle scuole vicino a casa. Altri hanno preso servizio e chiesto l’aspettativa senza stipendio, altri ancora hanno usufruito dei motivi familiari e delle garanzie della legge 104, alcuni addirittura si sono messi in malattia. 

In pochi giorni gli istituti settentrionali hanno visto transitare decine di migliaia di docenti, che hanno preso servizio e nel contempo hanno presentato domanda di mobilità, con la creazione di tanti posti vacanti. Il precariato che era uscito dalla porta è così rientrato dalla finestra, mentre le graduatorie a sud del Lazio (in particolare il sostegno) si sono riempite a bizzeffe.

Tuttavia le cattedre non potevano rimanere scoperte e così nel settembre 2016, gli uffici scolastici per avviare regolarmente l’anno scolastico si sono visti costretti a chiamare i docenti disponibili: quei pochi nella seconda fascia degli abilitati e soprattutto quelli non abilitati della terza fascia, che sono inseriti nelle graduatorie di istituto, prevalentemente destinanti alle supplenze temporanee. Ecco perché il precariato si è rigenerato in modo automatico. 

A fine anno scolastico 2016-17 tutti dovrebbero tornare al posto di partenza e lasciare le cattedre vicino a casa, ma gli accordi del ministro Fedeli di dicembre 2016 vanno nella direzione opposta e permettono di tornare, in parte, alla situazione ante Buona Scuola. Anche gli 83mila assunti con la legge 107 potranno chiedere il trasferimento con un massimo di 15 destinazioni preferite tra ambiti, province e singole scuole, con supplenze a go-go al Nord e organici gonfiati al Sud. Insomma la concertazione sindacale è tornata di moda e nell’istruzione statale, più che le garanzie a famiglie e studenti, valgono quelle degli iscritti ai sindacati. Una vera distorsione che vanifica ogni sforzo per gestire ordinatamente i circa 250mila docenti interessati alla mobilità. 

Quando ai docenti stranieri, al seguito degli scambi europei, viene spiegato il sistema di reclutamento e mobilità del sistema scolastico italiano, stupore e sorpresa sono di routine. In molti paesi europei previsioni di assunzione, calcoli sui pensionamenti, previsione di spesa, formazione dei docenti con i titoli abilitanti, rapporti con le università e i soggetti addetti alla formazione, sono un meccanismo ben oliato. Ma soprattutto risulta chiaro l’obbiettivo: il sistema-scuola è un servizio rivolto agli studenti e alle loro famiglie, non ai lavoratori e alle mille tutele di cui godono.