Davide, Riccardo e Simone sono davanti a me, nel vialetto che conduce all’ingresso della scuola. Parlano di un certo Dimitri e di un certo Adriano. Uno dei due è stato espulso o bocciato, sento dire. Li chiamo da dietro, chiedo loro in quale scuola abbiano già potuto bocciare un loro amico, un loro compagno, visto che ancora non siamo a metà dell’anno e visto che gli ordini dal ministero ormai vietano di bocciare, di espellere, di prendere qualsiasi provvedimento che non sia una specie di scivolo dolce verso la promozione. 



No, mi dicono ridendo, non è un loro compagno. Ma in fondo, sì, è un loro amico, uno che sta in televisione però, che è stato protagonista di un reality che è finito da poco e dove c’è un preside che un po’ mi somiglia. Il collegio io non l’ho mai seguito, avevo però visto molti spot pubblicitari — molte réclame, anzi, visto che si parla di un programma che ci riporta agli anni sessanta — con frequenza continua e assillante, come deve essere per un programma nuovo, che si deve lanciare. E il gioco ha funzionato se Simone, Riccardo, Davide e tutti gli altri e le altre ragazze di seconda e terza media stanno qui fuori e ne parlano come se fosse già un po’ parte della loro vita. 



Che cosa è accaduto? Com’è che i ragazzi dai tredici ai diciassette anni sono tornati a vedere la tv, in particolare la Rai, in prima serata, lasciando da parte i loro tablet o cellulari? Che cos’è questo collegio che ha tenuto inchiodati i giovani allo schermo e adesso li spinge a inseguire gli adolescenti protagonisti del programma per le vie e le piazze di Napoli e Roma, come se fossero degli idoli del calcio o della canzone? 

Sono andato a rivedermelo, non tutto, ma la prima puntata e quella finale dove i protagonisti sostengono un esame e Adriano, appunto, Adriano viene bocciato. Naturalmente non è un reality, come nessuno di quelli dedicati ai grandi: il collegio dentro il quale sono stati catapultati questi diciotto ragazzi è un po’ come l’isola in cui i famosi si adattano a subire un trattamento poco ordinario e si cimentano in prove alla fine delle quali ci sarà un vincitore. Ecco, questo collegio è un’isola ritagliata nel mare del tempo, disegnata in modo un po’ macchiettistico, dove i ragazzi si sono visti costruire su misura un personaggio, o meglio un tipo che hanno interpretato con minore o maggiore bravura. Così è avvenuto anche per i professori, il preside, i sorveglianti. 



Non di reality, insomma si deve parlare, ma di un racconto, di una fiction confezionata con schemi semplici, nient’affatto raffinati o complessi. Ma la storia parlava di preadolescenti e adolescenti nei quali i giovani spettatori si sono specchiati. E’ successo quello che accade per i grandi film, per i grandi romanzi: i ragazzi si sono sentiti protagonisti, e la distanza di quanto raccontato nel programma dalla realtà quotidiana che loro vivono è stato un punto di forza de il collegio. L’estraneamento creato nel posizionare ragazzi come loro in una bolla del tempo in cui non c’erano cellulari, c’erano invece regole precise, e anche un po’ banali; non c’erano tablet e pc, ma c’erano libri da studiare, tempi da rispettare, adulti smaccatamente e fintamente, certo, severi, non ha fatto altro che contribuire a rendere affascinante il gioco dell’immedesimazione, rendendo il tutto una sorta di avventura, di sfida dal sapore lontano. 

Molti ragazzi delle medie, e anche delle superiori, hanno ricominciato a guardare la tv, anche se quelli del liceo, a quanto mi dicono i miei amici e colleghi, un po’ meno, a segnalare una certa differenza, forse una capacità critica maggiore. Ma intanto frotte di ragazze e ragazzi hanno persino passato la serata non nascosti nel buio della loro camera, ma nel salotto buono di casa, sul divano con mamma e papà che, anche loro, alla fine, hanno apprezzato la cosa, fingendo talvolta di dire che ai loro tempi la scuola assomigliava di più al romanzo di quel collegio, piuttosto che alla favola che adesso è diventata la loro scuola di competenze e alternanze. 

Certamente la fattura di questo programma assomiglia un po’ a quella di un vestito piuttosto dozzinale, dal taglio non propriamente ricercato, ma è stato capace di diventare un capo alla moda. Del resto ai miei tempi c’erano I ragazzi di padre Tobia o Chissà chi lo sa, mica capolavori da David di Donatello, ma cose comunque che erano adatte a noi. Forse è tornata la tv dei ragazzi? Magari! Non bisogna scandalizzarsi soltanto perché il programma è piuttosto falso e poveretto, bisogna forse invece rendersi conto che ai ragazzi devi parlare di loro, che ai ragazzi devi dire che il mondo è un posto che ha dentro un posto per loro. Magari lo si può fare meglio, certo. Magari gli si può far capire che anche Dante e Leopardi parlano di loro, in modo più vero e profondo de il collegio. Ma forse si può anche partire da qui.