Appare chiaro, e non c’era bisogno che i sindacati lo stigmatizzassero nei loro comunicati, che l’intesa con il Miur costituisce una battuta d’arresto per la legge 107/15 a favore dello strumento contrattuale. Né aprioristicamente si può ritenere che “lo strumento contrattuale” sia la causa di ogni male che affligge la scuola italiana; ci sono articoli nel Ccnl scuola vigente, come l’articolo 26 sulla funzione docente e l’articolo 27 sul profilo professionale che sono capolavori ancora ineguagliati nella letteratura specifica. Val la pena rileggerli, ogni tanto. Eppure siamo ancora alla lotta di classe: abbasso la discrezionalità dei padroni. La qualità della scuola non è “discrezionabile” (qualità non si coniuga con discrezionalità) e siamo tutti d’accordo. Evidentemente il problema risiede altrove e appartiene poco all’annosa questione se l’interesse degli alunni alla stabilità (la cosiddetta continuità didattica) sia prioritario alla mobilità del docente che diviene stabile solo quando ha trovato “posto” più o meno vicino casa. Queste sterili polemiche aiutano poco il ragionamento che qui si vuol fare. Ragionamento e non strenua difesa di alcuni aspetti della legge 107/15.
Si legge nell’intesa appena siglata che la mobilità dei docenti da ambito a scuola non sarà frutto di iniziative individuali della dirigenza, ma avverrà sulla base di una delibera del collegio docenti. E avrà come riferimento il Ptof di istituto e una tabella di requisiti nazionali da stabilire contrattualmente. Insomma, si è previsto nell’intesa che le procedure per l’assegnazione dagli ambiti alle scuole saranno “uguali” su tutto il territorio nazionale per garantire trasparenza e imparzialità e i requisiti che le scuole potranno indicare saranno aprioristicamente definiti in un elenco allegato all’accordo sulla mobilità. I collegi dei docenti sceglieranno da questo elenco in coerenza con il Pof triennale e delibereranno, pena l’assegnazione “diretta” da parte degli Usr sulla base del solo punteggio. Come si procederà, allora, a definire questi requisiti?
I sindacati promettono che si farà ogni sforzo in sede di contrattazione per valorizzare le esperienze professionali specifiche, consolidate e certificabili. Or dunque ci si è giustamente soffermati sul fatto che i presidi potessero scegliersi i docenti “migliori” per le loro scuole, con buona pace dei “peggiori” che da qualche parte dovevano pur andare ad esercitare questa delicatissima professione dell’insegnare. Ma proviamo a chiederci come un elenco nazionale di requisiti possa soddisfare la specificità di certe competenze che dovrebbero appartenere a un docente che in una determinata scuola di un determinato contesto deve aiutare i suoi alunni a diventare persone migliori. E queste competenze saranno anche frutto di “esperienze professionali specifiche, consolidate e certificabili”… La passione per la propria disciplina, il sostegno, l’incoraggiamento, il saper puntare sempre sul positivo di ciascun alunno, l’intuizione umana, la capacità collaborativa tra pari: questi i requisiti che dovranno essere certificati. Altrimenti queste scuole le asfaltiamo continuando, come diceva qualcuno, a pretendere parti uguali fra chi uguale non è.
Quanto ampi e dettagliati o quanto universali potranno essere i requisiti richiesti a un docente perché possa ben spendersi in una certa scuola di un certo territorio con specifici bisogni educativi e determinate priorità? In barba alle analisi statistiche e quantitative che pure aborriamo perché non danno ragione, in assoluto, di un lavoro e di una passione, ma appiattiscono sulla standardizzazione il percorso e l’imparare a diventare persone adulte dei nostri alunni.
Imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa: non possiamo non desiderarla. Ma, a questo punto della storia, viene, metaforicamente, in mente un passo del dialogo di Fulgenzio e Galilei di Bertolt Brecht:
Fulgenzio: — Ma non credete che la verità — se verità è — si farà strada anche senza di noi?
Galilei: — No, no, no! La verità riesce ad imporsi solo nella misura in cui noi la imponiamo; la vittoria della ragione non può essere che la vittoria di coloro che ragionano. Tu parli dei contadini dell’Agro come se fossero il muschio che alligna sulle loro capanne! A chi mai può passare per la mente che ciò che a loro interessa, non vada d’accordo con la somma degli angoli di un triangolo? Certo che, se non si agitano, se non imparano a pensare, poco può aiutarli anche il più efficace sistema d’irrigazione. Per tutti i diavoli, vedo bene che sono ricchi di divina pazienza; ma la loro divina furia, dov’è?.