Tullio De Mauro, scomparso ieri all’età di 84 anni, linguista e uomo di scuola, è stato figura chiave della cultura italiana in un tentativo di innovazione che lo ha visto spaziare da contributi fondativi della linguistica, italiana e non solo — basti citare negli anni Sessanta la Storia linguistica dell’Italia unita, gli studi su Ludwig Wittgenstein, l’introduzione e commento a F. de Saussure, Corso di linguistica generale — fino al Grande dizionario italiano dell’uso del 2007 e alla nuova Storia linguistica dell’Italia repubblicana del 2014, dove de Mauro è nuovamente tornato sul problema dell’analfabetismo funzionale negli ultimi 50 anni in Italia.
Impegnato anche in politica, De Mauro militò nelle liste del Pci e tra il 2000 e il 2001 è stato ministro della Pubblica Istruzione nel secondo governo Amato. Membro dell’Accademia della Crusca e dei Lincei, il linguista ha ricevuto innumerevoli riconoscimenti e titoli e ha prestato il suo versatile genio anche al mondo della scuola. Ha fatto parte della commissione Brocca, proprio quella dei “programmi Brocca” che inaugurò la stagione delle sperimentazioni nella scuola superiore.
Una vita estremamente ricca di contributi pungenti, quali il commento impietoso alla nascente Buona Scuola di Renzi come una serie di “buoni annunci” in cui “vengono ignorati i meccanismi di realizzazione”. Si possono assumere 148mila precari in un anno? “No, è fuori dalla realtà per ragioni finanziarie”. Delle 103mila assunzioni poi annunciate, per l’anno 2015/16 il Miur riuscì a effettuarne circa soltanto 88mila, seguite da concorsi non terminati in tempo per l’avvio dell’anno scolastico 2016/17, e il conseguente protrarsi della “supplentite”. Le ragioni finanziarie addotte da Tullio De Mauro nulla poterono contro l’ansia di rinnovamento della Buona Scuola di Renzi, infrantesi con la fine del sogno della riforma costituzionale e con l’avvio dell’opera di smantellamento della Buona Scuola da parte del ministro Fedeli, in tutte quelle parti che hanno proprio a che fare con il piano di assunzioni deplorato dall’insigne linguista.
Ma anche per De Mauro destreggiarsi nelle motivazioni dell’agire del Miur non fu forse cosa facile, mentre constatare la mancanza di docenti preparati a gestire le classi Clil, come da lui fatto in alcuni suoi interventi dove il Miur a trasferire i docenti Clil bisognosi di formazione per un anno all’estero, è cosa degna di rilievo, anche se appare chiaramente impraticabile a chiunque stia nella scuola non meno della legge 107.
Rimane indubbiamente la carica propulsiva di chi, quando in Italia ne parlavano in pochi e la praticavano ancora meno, ha parlato della flipped classroom, la classe rovesciata, dove viene meno lo schema rigido spiegazione-studio a casa/esercitazione-interrogazione, ma si procede alla costruzione del sapere attraverso una diversa interazione fra studenti e docenti, nel quale il processo di scoperta comincia a casa, attivando le low cognitive skills (leggere, ascoltare, memorizzare), e prosegue in classe attivando le high cognitive skills (ipotizzare soluzioni, risolvere problemi, lavorare a progetto) che necessitano fortemente della presenza del docente.
Una spinta all’innovazione, al cambiamento, nella consapevolezza di chi ebbe a dire, sempre della Buona Scuola, che non si sarebbe dovuto chiamarla “riforma”, perché ormai, qualsiasi cosa, nella scuola, veniva spacciata come tale senza esserlo.