Di recente il consorzio Interuniversiario Almalaurea, nella sua articolazione Almadiploma, ha presentato gli esiti dell’indagine 2016 effettuata su oltre 40mila giovani diplomati.

Dalla ricerca emerge che “il 47% dei diplomati 2016 è pentito della scelta fatta a 14 anni e se tornasse indietro sceglierebbe una scuola e/o un indirizzo di studio diversi. Inoltre il 13%, dopo l’esame di maturità, è ancora molto incerto sul proprio futuro formativo e professionale. La quota dei diplomati che avrebbe voluto cambiare percorso sale al 52% tra chi si è graduato alle scuole professionali, si attesta al 48% tra gli istituti tecnici e scende al 45% tra i liceali. Se si esaminano i motivi, si scopre che il 41% cambierebbe per studiare materie diverse, il 20% per compiere studi che preparano meglio al mondo del lavoro, il 16% per realizzare studi più in sintonia con la futura università”.



La conclusione che ne trae il direttore Renato Salsone è che serve “una vera e propria politica di educazione alla scelta”; e come non dargli ragione. Sono anni che chiunque si occupa di scuola secondaria di primo e secondo grado e di università per amore o per forza viene richiamato alla cogenza della questione orientativa ma, forse, proprio per il fatto che l’attenzione è alta, le azioni sono già molte e non possiamo qualunquisticamente ritenerle tutte pressoché inefficaci. Di questi dati è arrivato il momento di dare una lettura integrativa rispetto a quella data nel rapporto, ove alla domanda delle ragioni del pentimento sul passato e dell’incertezza verso il futuro “una prima significativa risposta si associa alla limitata e parziale efficacia delle politiche di orientamento e di diritto allo studio”.



E, senza voler sminuire l’importanza di un orientamento ben fatto, che metta cioè la persona — fosse anche un ragazzino tredicenne — nelle condizioni di conoscersi e determinarsi, la risposta sta forse nel non dimenticare tre fattori che rendono la vita di tutti noi quello che è, ovvero un’avventura inaspettata e una sfida avvincente:

1) La realtà non si esaurisce mai nell’idea che di essa ci facciamo, o nell’aspettativa che su di essa carichiamo. Ovvero: nessuna scuola, e vorremmo poter dire “per fortuna”, corrisponde mai esattamente all’idea a priori che ce ne siamo fatti, perché la realtà è più ricca, spiazzante e provocatoria di come ce la prefiguriamo.



2) La vera sfida, allora, non è inseguire un astratto e per ciò stesso dis-umano “percorso ideale per le mie attitudini”, bensì saper stare nella circostanza data, valutandola e trovando in essa l’occasione per crescere, apprendere, formarsi, anche in modo inaspettato. I sistemi web, sempre più orientati alla profilazione dei clienti che sanno proporre musica o prodotti vicini ai loro desiderata, nel tempo rischiano di creare un sistema più beotamente ristretto che umanamente aperto agli orizzonti del possibile.  

Non dia scandalo il riconoscere che la storia di ogni famiglia è piena di narrazioni di chi ha saputo essere felice nella situazione data per vincolo familiare (farmacista figlio di farmacisti) ma anche di membri che a quei vincoli sono fuggiti, con un surplus di forza data proprio dal desiderio di riscatto e di realizzazione (come tante storie di emigrazione e creatività illustrano).

3) C’è un versante positivo e interessante, che ci fa ben sperare nel futuro della scuola, se i ragazzi che hanno ricevuto “qualcosa” dalla scuola hanno fame anche di altro. Significa che essa ha saputo, comunque, aprirli a prospettive magari prima impensate: quella del lavoro per i liceali destinati tali dall’asilo, quella del desiderio di proseguire gli studi per chi si è accorto che conoscere il funzionamento tecnico di un dispositivo non gli basta per darsi le ragioni della sua esistenza. E questo non è un esito trascurabile, né negativo, anche se presentato come fallimentare.

Victor Frankl affermava, e lo faceva dal lager, non da uno studio affacciato su Central Park, che quando non puoi modificare le cose intorno a te, puoi sempre modificare te stesso, e il tuo approccio alle stesse.

È possibile che il processo di orientamento non sia sempre adeguato, e su questo continuiamo a operare per migliorare, ma ancor più deve interessarci costruire percorsi formativi e proporre esperienze che, qualche che sia la loro specificità di indirizzo, sollecitino un ingaggio autentico che permetta ai giovani di verificarsi in situazione e solo così di conoscersi, che attivi la loro volizione, la loro coscienza, la loro competenza e, non da ultimo, non solo il rammarico per ciò che avrebbe potuto essere, ma la gratitudine e la capacità di costruire sé stessi con ciò che è stato dato.