Studenti in piazza per il primo “sciopero dell’alternanza“. Sfilano con le tute blu, fanno blitz davanti alle sedi di Confindustria, protestano perché “non vogliono essere sfruttati dalle multinazionali”. Nessuno spiega loro che stanno facendo un clamoroso autogol, un involontario spot a favore dell’alternanza scuola-lavoro dimostrando, con i loro slogan, di avere poche e ben confuse idee su cosa sia oggi il modo del lavoro. E così dimostrando di avere un maledetto bisogno di alternanza. 



Non sanno che il mondo che demonizzano, in misura sempre più marginale indossa le tute blu e, soprattutto, che accogliendoli si accolla dei costi. Credono ancora alla favola mal raccontata dello sfruttamento sempre e comunque e della lotta di classe come principio regolatore dei rapporti di lavoro. 

Con ciò, cosa forse più grave, costruiscono robusti alibi al mondo della politica scolastica. Perché quel mondo, che ha voluto per tutti l’obbligo di alternanza, a due anni dall’emanazione della legge sulla “Buona Scuola”, non ha saputo produrre lo straccio di un’iniziativa concreta per incentivare le aziende più serie ad accogliere stagisti. E non ha saputo dire parole chiare (coraggiosamente chiare) sui tanti problemi che si coagulano attorno alla novità delle alternanze: le responsabilità in ordine alla sicurezza in azienda, gli oneri di accertamento sanitario, il trattamento degli infortuni in itinere per docenti tutor e stagisti. 



Nel frattempo proliferano i “marchettari” dell’alternanza, i venditori di fumo per l’assolvimento dell’obbligo orario di alternanza: compagnie di navigazione che vendono crociere sul Mediterraneo come occasione per approfondire le tecniche di navigazione, agenzie di viaggio che riciclano corsi di lingue all’estero come stage internazionali, associazioni di tutte le fedi che confondono disinvoltamente il volontariato con il lavoro. 

All’interno della scuola, tra i docenti (soprattutto quelli di area liceale) si radica il sentimento di nostalgia per quando “insegnare voleva dire fare lezione e basta”, senza doversi confrontare con chi fa altri mestieri e senza dover inventare e poi gestire percorsi di apprendimento fuori dalla scuola.



Chi governa tiene botta e, a parole, difende l’idea di alternanza scuola-lavoro. Ma più che difendere i principi, la politica e le istituzioni sono chiamate a costruire strumenti perché le buone idee possano funzionare. Altrimenti ci sarà sempre grande spazio per spiritosi giornalisti indignati o spiritati contestatori di piazza. A vantaggio di chi, dentro e fuori la scuola, continua a pensare che la scuola di fine XXI secolo potrà ancora essere maledettamente uguale a quella di inizio ‘900.