A distanza di tre anni dalla pubblicazione su questo giornale dell’articolo “Esame di terza media, il ‘tutto’ non serve a nulla”, il D.M. 741 del 3 ottobre 2017, dedicato all’Esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione, ne soddisfa pressoché tutti i desiderata: la riduzione degli scritti a tre prove relative a italiano, matematica, inglese; la dovuta considerazione del voto di ammissione nell’esito finale; la separazione delle prove strutturate Invalsi dalle prove d’esame. 



La scelta di ridurre a tre le prove scritte d’esame, riformulandone in parte la tipologia, ha il pregio di mettere in rilievo le competenze essenziali cui la scuola del primo ciclo deve puntare: la padronanza della lingua italiana e la competenza di attestazione del pensiero, le competenze logico-matematiche, il raggiungimento almeno del livello A2 relativo alle competenze di comprensione e produzione scritta in inglese. 



Lo scenario mutevole della società, del mondo del lavoro e della comunicazione, degli equilibri politici ed economici, che rende difficile, se non impossibile, prevedere quale potrà essere il futuro dei nostri giovani, chiede agli adulti di fornire loro gli strumenti culturali di base per potersi poi in seguito specializzare in un preciso ambito. Inutile dunque puntare allo sviluppo di abilità operative di immediata spendibilità: occorre fornire una solida competenza di ragionamento testuale e razionale, per aiutarli a sviluppare sin dai banchi di scuola la capacità di imparare a imparare, il cosiddetto apprendimento continuo lungo il corso della vita. 



Occorrono tante e buone letture; un esercizio assiduo e intelligente di analisi e sintesi di testi densi dal punto di vista semantico, anche letterari; immedesimazione nel pensiero altrui attestato in ragionamenti ben condotti e articolati, per poter sviluppare una capacità di interpretazione di qualsiasi tipo di testo, competenza basilare per lo studio di ogni disciplina, per la comunicazione tra gli uomini, per la contrattazione e l’argomentazione, cioè per la democrazia. 

Occorre affinare il pensiero razionale attraverso la matematica, non solo esercitandosi nelle procedure, ma imparando a problematizzare, a dimostrare, a ipotizzare e dedurre. È questa la via maestra per introdursi nel mondo della scienza e della tecnologia con spirito critico e creatività, anche per i futuri informatici, per formare i quali val più la matematica che qualche ora di coding utilizzando programmi che fra qualche anno (o mese) saranno già obsoleti. 

Occorre infine imparare bene l’inglese, non solo perché la società lo richiede pressantemente, ma per allargare l’orizzonte della propria ragione nel confronto con un sistema linguistico diverso dal nostro, per immedesimarsi nelle dinamiche del pensiero di altri popoli così da comprendere in che senso l’altro può essere un bene per me, per raggiungere una chiara consapevolezza della differenza tra struttura e funzione, concetti indispensabili per pressoché tutti gli ambiti della conoscenza.

Positiva anche la separazione delle prove Invalsi dagli scritti d’esame, non tanto perché così non influiranno più sul voto finale, ma perché in tal modo riguadagnano lo scopo per cui sono state introdotte nella scuola: offrire una valutazione esterna al percorso scolastico degli studenti per fornire alle scuole dati e osservazioni utili al miglioramento. Può essere infatti questo un valido modo per certificare alcune competenze attraverso prove strutturate, con strumenti che i singoli docenti e le singole scuole non possiedono e non sono tenuti a possedere, dovendo piuttosto preoccuparsi di verificare e valutare in itinere, e in alcune occasioni in modo sommativo, l’acquisizione di specifiche conoscenze, abilità, competenze. Utile dunque agli studenti la possibilità di mettersi alla prova con altri tipi di test, non costruiti ad hoc per la propria classe, ma per l’intera popolazione scolastica, così da potersi confrontare e valutare. Giudizio sospeso sul nuovo sistema di somministrazione mediante computer e sulla tipologia di prova che Invalsi proporrà per l’inglese… ai posteri l’ardua sentenza! 

Più ragionevole risulta anche la modalità di determinazione del voto finale, derivato dalla media tra il voto di ammissione e la media dei voti delle tre prove scritte e del colloquio, arrotondato all’unità superiore per frazioni pari o superiori a 0,5. Si dà così più peso al voto con cui i docenti ammettono lo studente all’esame considerando il percorso del triennio.

Novità auspicate e importanti, dunque, a cui si può aggiungere anche la sensatezza della scelta di far svolgere al dirigente scolastico le funzioni di presidente della commissione. L’esame di fine primo ciclo ha infatti come finalità prioritaria la consapevolezza dello studente. A sé stesso, prima che ad altri, egli deve mostrare i frutti di otto anni di studio: “Quali conoscenze, abilità e competenze ho raggiunto? Come riesco a spenderle cimentandomi in prove scritte e orali conclusive, sintetiche e in parte nuove rispetto alle verifiche svolte durante l’anno? Sono in grado di condurre un colloquio con i miei docenti riuniti per dialogare con me intorno a contenuti e metodi che abbiamo affrontato in questi anni? Ho un giudizio personale e critico su di essi? So argomentare le mie ragioni?”. 

L’esame è anche un importante momento di autovalutazione per i docenti, i quali possono verificare, anche nel confronto diretto con i colleghi con i quali correggono e valutano le prove, l’efficacia del loro lavoro. Certo, la presenza di un docente estraneo al consiglio di classe potrebbe essere di stimolo ulteriore per la crescita della consapevolezza di studenti e docenti, ma la sua funzione è stata finora esclusivamente quella di controllare la correttezza formale dello svolgimento dell’esame, e per garantire ciò il dirigente scolastico sufficit