Caro direttore,
per trent’anni nella scuola la parola “autonomia” ha attraversato e dominato tutti i dibattiti e le analisi. Non si è mai venuti a capo di niente. E quando mi è capitato di chiedere a singoli presidi cosa intendessero per autonomia venivano fuori cose assolutamente diverse. Qualcuno diceva “più soldi alle scuole”, qualcuno “abolizione dei controlli”, qualcun altro “scelta autonoma dei programmi” e qualcun altro ancora “più potere ai presidi”. Ma appena ponevo la domanda sul ruolo del ministero e del governo nazionale non veniva fuori niente. 



La Buona Scuola di Renzi ha dato al termine autonomia il significato di un organico aggiuntivo di circa l’8 per cento rispetto a quello tradizionale già pletorico necessario all’ordinario funzionamento delle classi. Con questo 8 per cento in più le scuole possono arricchire l’offerta formativa a loro discrezione, mantenendo però sia il gigantesco curricolo previsto dalla legge sia la totalità dei programmi ministeriali. 



Programmi che per altro non sono minimamente salvaguardati dallo sgangherato sistema attuale, sia nella fase dell’insegnamento che in quella del controllo dei risultati finali dell’apprendimento. Vera autonomia, a mio modo di vedere, sarebbe ridurre a 20 ore settimanali il curricolo nazionale, lasciando 4 ore alle scuole e alle Regioni per offerte formative discrezionali destinate agli studenti.

L’autonomia scolastica realizzata è nei fatti solo un aumento dei docenti e della spesa pubblica relativa. Nel consueto ed indescrivibile disordine organizzativo e nella costante confusione giuridica, la misura non ha inciso minimamente sul funzionamento delle scuole, gravate dai giganteschi e irrisolti problemi che ho descritto più volte su queste pagine assieme alle possibili soluzioni.



Trovo la stessa confusione nei discorsi sull’autonomia regionale. Decidere per conto proprio è una formulazione troppo vaga e di impossibile o insignificante realizzazione.

L’articolo 117 dice chiaramente:  “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. La formulazione relativa a “forme particolari di autonomia” è aggiuntiva e marginale (art. 116) rispetto alla formulazione generale riguardante le competenze concorrenti. “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.

La dialettica normale è quindi tra principi generali di spettanza statale e potestà legislativa, che spetta alle Regioni. Questa formulazione è forte e nell’interpretazione naturale lascia alle Regioni il potere organizzativo, limitando allo stato i principi generali.

Qui però scatta il ruolo della magistratura perché la distinzione logica, che a me pare chiarissima, alla fine è nelle sue mani. Ad esempio, l’assunzione e l’assegnazione dei docenti alle scuole è sottoposta ad un principio generale? Quale è questo principio? Fare concorsi nazionali o provinciali è un principio generale o un criterio organizzativo di competenza regionale? Abolire i trasferimenti nazionali del personale della scuola fa parte o no delle competenze organizzative regionali?

Mi piacerebbe sentire dibattiti chiari ed espliciti su queste cose ma purtroppo i lombardo-veneti non eccellono in dialettica giuridica e politica mentre invece i leader di “Latium et Campania”, la prima regione dell’impero romano, sono abilissimi.

Una strada bisogna intraprenderla. Come intendono muoversi concretamente le nostre autorità regionali dopo la vittoria del referendum, io non l’ho ancora capito. Se qualcuno ha capito si faccia avanti.