Se c’è un oggetto di studio di fronte al quale non si può restare passivi, questo è certamente il poema di Dante, la Commedia. E non solo per il fascino che tale lettura può comunicare, ma per una ragione intimamente connessa alla natura del testo: quello di essere una visione.

È Dante stesso che introduce questo termine al temine della sua opera giovanile più famosa, la Vita nuova quando, dopo la morte della sua amata, Beatrice, gli appare una “mirabile visione ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infine a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei”. Il contenuto di questa visione è qualcosa che nessun poeta d’amore ha mai tentato prima: “dicer di colei quello che mai fue detto d’alcuna”. E che cosa nessun poeta ha mai detto di una donna? Beh se si potesse riassumerlo così in due righe, Dante non avrebbe scritto tre cantiche di trentatré canti ciascuno composti da una media di quarantasette terzine a canto; ma certamente questo qualcosa ha a che fare con la possibilità che solo nel finito di un amore terreno l’uomo può incontrare l’infinito dell’amore di Dio; che la morte della donna amata possa non essere la fine dell’amore, o che la bellezza e l’attrattiva erotica che essa suscita negli occhi dell’amato possa essere una strada di avvicinamento e non di allontanamento da Dio; e sicuramente che guardare negli occhi una Beatrice vuol dire iniziare a vedere con i propri occhi ciò che appaga, senza mai acquietare, il cuore. 



Così, nel poema in cui Dante dichiara il “primato dell’occhio”, può accadere proprio di scoprire il significato della “condizione di ogni vedere, cioè la luce”. Non solo la luce fisica, dunque, ma quella luce che porta l’incontro con Beatrice, per cui “l’esistente diventa sensibile nel suo valore per il cuore”. È per questo che, per capire il tipo di visione (di cui il poema altro non è che una fedele trascrizione) cui appartiene la commedia, Guardini (Studi su Dante) usa la parola “contemplazione”: “una visione dove in colui stesso che guarda, qualcosa accade”. Leggendo la Commedia, dunque, non si può restare passivi: se si è lettori attenti, “qualcosa accade”.



Qualcosa di simile deve essere accaduto anche a Martina e i suoi compagni, che hanno deciso di provare a leggere la Commedia attraverso la lente di una macchina fotografica: “leggendo la Commedia ci siamo accorti che ogni episodio, ogni personaggio incontrato durante il viaggio ultraterreno e ogni paesaggio attraversato è descritto da Dante in modo così nitido e chiaro da evocare subito un’immagine nella mente. Partendo da questi spunti e guidati da alcuni nostri professori, abbiamo iniziato un lavoro che poi si è sviluppato coinvolgendo anche altri studenti e professori del Liceo artistico (Fondazione Sacro Cuore, Milano, ndr). Questo esperimento di rileggere le tre cantiche dantesche attraverso la lente dell’obiettivo fotografico — una novità assoluta — è stato un’occasione per comprendere in modo più profondo la singola immagine, che solitamente viene sacrificata alla trama generale. Infatti, grazie alla fotografia, che fissa l’istante, è possibile osservare le scene descritte da Dante separandole dal resto della storia, in modo da ricomprenderne il significato e non perdere la straordinaria forza poetica e immaginativa della poesia dantesca”. 



Ne è nato un vero e proprio concorso, aperto agli studenti delle scuole superiori, e che coinvolge nella giuria esperti del calibro di Roberto Koch, fotografo ed editore di Contrasto. Le foto vincitrici delle passate edizioni possono essere sfogliate sul sito, www.fotografarelacommedia.it o sulla pagina Facebook dell’evento, tramite la quale ci si può iscrivere all’edizione di quest’anno.

In un momento storico in cui nel mondo della scuola si discute del primato delle competenze sulle conoscenze, la lettura di Dante si dimostra ancora vincente per la forza che ha nell’investire tutte le risorse dei suoi lettori e nel mettere in moto nuove energie conoscitive; e rende attuale una importante lezione metodologica: affinché accada qualcosa in noi (e quindi anche negli studenti), bisogna imparare a contemplare (e magari fotografare), come ha fatto Dante con Beatrice.