Tempo di orientamento per i ragazzi delle terze medie e dei loro genitori. Momento non facile, vista la delicatezza della scelta, che segnerà, comunque, la loro vita.
Per cui è bene che gli stessi ragazzi e le loro famiglie, con l’aiuto dei docenti delle scuole medie, prendano informazioni, riflettano bene, oltre che sulla preparazione di base, soprattutto su talenti e attitudini. Senza lasciarsi catturare dai lustrini delle vetrine delle scuole superiori, nelle varie esposizioni e negli open day. I lustrini non servono, mentre invece conta la sostanza, cioè l’incontro tra le attitudini personali e gli indirizzi di studio.
Importante, dunque, guardarsi attorno e comprendere bene le opportunità.
Ad arricchire il parterre di questi strumenti di informazione, oltre alla “scuola in chiaro” presente nel sito del Miur, abbiamo anche la nuova indagine fatta dalla Fondazione Agnelli di Torino (“Eduscopio”), con una classifica delle migliori scuole, regione per regione, in un raggio di 30 chilometri dal punto prescelto.
Tutti i giornali ieri hanno riportato le classifiche delle scuole, dando valore assoluto all’algoritmo adottato da Eduscopio. Una manna, per chi si limita a guardare dall’esterno il mondo della scuola. Mentre chi la vive dall’interno non dà, e non deve dare, troppo peso a queste comparazioni. Perché sa che è facile, se si vuole, vincere una classifica di questo tipo.
Lo stesso dicasi per l’Invalsi. Le classi, anno dopo anno, sono diverse, con tante variabili che non sono dipendenti dalla stessa scuola, per cui i confronti valgono quello che valgono, e non possono mai diventare criteri assoluti di qualità di un servizio.
Evidente, dunque, il valore relativo di queste indagini, che vanno calibrate in relazione al contesto. Perché la qualità della scuola va articolata in funzione del “valore aggiunto” del lavoro educativo e didattico.
Questo non significa, però, bocciare queste iniziative di comparazione, ma riconsiderarle per quello che sono. I confronti, cioè, sono sempre utili, ma non bisogna cedere al rischio degli equivoci che si possono ingenerare.
Mi spiego. Il Liceo Corradini di Thiene, in provincia di Vicenza, per fare solo un esempio, lo scorso anno è risultato primo tra i licei del Veneto. Eppure la conseguenza di questo fuoco di immagine è stata, a dir poco, paradossale, visto il calo delle iscrizioni che ne è seguito. In poche parole le classifiche, se assolutizzate, possono disorientare i nostri giovani e le loro famiglie in vista della scelta di una buona scuola media superiore.
I dati che si ottengono, cioè, se non sono ben compresi, rischiano di confondere più che di aiutare. Il motivo è semplice: se una scuola volesse, tanto per capirci, puntare a questo tipo di risultati dovrebbe fare questo: alzare l’asticella delle valutazioni, riservandosi solo gli studenti con le medie più alte, così da ottenere le migliori statistiche.
Ma non è questa una scuola di qualità. Con classi da 20 studenti, formate solo dai cosiddetti “eccellenti”: troppo facile, troppo comodo. Non può essere questo il compito di una scuola in una società aperta, democratica, che offre strumenti di mobilità sociale.
Diverso è infatti insegnare ai bravi, difficile è dare una pari opportunità a tutti. È qui che si distingue il bravo docente, il buon lavoro di una scuola. Il vero valore positivo è consentire a più studenti il raggiungimento di risultati magari non ottimali, ma comunque positivi. E chi potrà mai dire, un domani, che studenti a prima vista non eccellenti alle superiori, saranno invece coloro che, nella vita e nel lavoro, otterranno i migliori risultati, in termini di realizzazione personale? Non ci sono più, oggi, cordoni ombelicali precostituiti tra la scuola ed il mondo del lavoro. Chi dice che contano più i risultati, cioè le performance, dei processi? Ci vuole dunque prudenza.
Per cui diamo pure un’occhiata, confrontiamo le scuole, come propone la Fondazione Agnelli, senza però lasciarsi ingannare dai numeri e dalle classifiche. Le quali vanno lette ed interpretate, calate cioè nel contesto della vita reale.
Resta il problema, tutto italiano, di un ente valutatore esterno, che entri davvero nel merito della vita delle scuole, ma terzo anche nei confronti del Miur e degli Usr, e non solo delle scuole.
Assegnati al Miur e agli Usr ci sono sì decine di ispettori, ma sono pochi, se non pochissimi, visto il profilo loro richiesto: oltre che titolari delle ispezioni, su richiesta dei dirigenti scolastici, si trovano a dover coordinare progetti ed iniziative in modo scoordinato, tanto da rendere, nel concreto, non significativo il loro ruolo.
In Italia, dunque, non solo non abbiamo un corpo ispettivo come si deve, ma manca, come si diceva, la terzietà, cioè l’indipendenza dallo stesso Miur e dagli Usr.
Sarebbe interessante, ad esempio, costruire un’indagine conoscitiva sulla significanza, o meno, degli Usr e degli uffici periferici (Ust) in relazione alle esigenze di supporto e di formazione delle scuole. Ne verrebbe fuori un quadro a dir poco desolante. Quadro che il Miur tenta di coprire con la sola logica burocratico-amministrativa, non sapendo, o non volendo sapere, che l’atto amministrativo è sì necessario, ma mai sufficiente per farsi un’idea di un mondo, quello della formazione, che non sopporta algoritmi di qualsiasi natura, perché la quantità non si potrà mai sovrapporre alla qualità, per la centralità, nella scuola, delle persone e dei loro profili (relazionali, motivazionali, relazionali), mai riducibili alle singole “performance”.
In fondo, cosa chiedono gli studenti ed i genitori al momento della iscrizione? Di essere accompagnati sul piano educativo, prima che su quello cognitivo.
Allora, per chiudere, tutte le informazioni possono essere utili, come le classifiche di Eduscopio, perché rispondono ad un bisogno sociale di “cultura dei risultati”. Per cui la Fondazione Agnelli, con la sua iniziativa, ha coperto un vuoto. Ma è la qualità di quella copertura a destare, oltre che legittimo interesse, anche perplessità. Per cui, al di là dei giochi di immagine che valgono il sole di un mattino, nella sostanza ogni classifica non è in grado di rispondere alle vere domande, quelle che nelle famiglie creano ansia e domanda di senso. La vera sfida qualitativa di una scuola, che mai algoritmo potrà cogliere sino in fondo.