Nei vari sussulti di tipo innovativo o depressivo che, di anno in anno, il ministero dell’Istruzione presenta attraverso l’evoluzione delle normative didattiche, compare anche la geografia, materia sbadatamente considerata più adatta alle scuole primarie e secondarie, anziché ad altri livelli scolastici.
Eppure, da oltre un secolo, la geografia non è più la litania delle lunghezze dei fiumi, delle altezze dei monti o dei toponimi: un po’ alla volta è diventata l’autocoscienza della terra, cioè quel luogo del sapere scientifico, forse l’unico, dove natura, fenomeni e relazioni reciproche rappresentano il metodo attraverso il quale la conoscenza del Pianeta assume significato ed orizzonte interpretativo.
Se ne deduce che il legislatore, insieme ai burocrati di contorno, possieda una conoscenza della materia geografica antica vecchia di oltre un secolo, per lo meno da quando lo statunitense Richard Hartshorn affermò in un suo importante volume (The nature of Geography, 1939) che la geografia è una scienza-metodo, nel senso che riguarda la distribuzione di fatti e di fenomeni fisici e umani sulla superficie terrestre, quindi non descrive la Terra, ma correla le sue componenti per decifrarne un significato.
Alcune piccole aperture di questi giorni da parte del Tar del Lazio (sentenza n.10289/2017) lasciano intravvedere uno spiraglio per una maggiore attenzione ad un mondo scientifico, quello dei geografi, che, per vari motivi, soffre per essere delegato ad un livello di valutazione così modesto.
A fronte di una ignoranza spaventosa delle nuove generazioni in ambito geografico e non solo, come documentato da alcune recenti inchieste giornalistiche, la geografia sarà riassegnata ai geografi abilitati, consentendo loro di esporla con professionalità: non è stata una svista o una banalità, ma costituiva un’idiozia che tale materia fosse insegnata dai titolari di italiano, storia o scienze.
Si tratta finalmente di un po’ di giustizia? Qualcuno è riuscito ad aggiornare la classe politica sui contenuti della materia?
La geografia, da alcuni decenni a questa parte, assume, diversamente dalle scelte ministeriali, un ruolo fondamentale per la comprensione dei meccanismi di trasformazione della realtà del Pianeta, nella quale sono proiettati i modelli culturali, i sistemi di relazione, le concrete possibilità di vita per tutti gli esseri viventi nel presente e nel futuro.
Infatti, se l’informatica, la lingua inglese e la statistica, ad esempio, possono essere concepite come campi di conoscenza infrastrutturali o di servizio per la comunicazione e per l’informazione, bisogna riuscire a divulgare a studenti, politici ed amministratori che la geografia è il luogo di sintesi delle molteplici relazioni che si sviluppano su un determinato territorio, relazioni che nessun’altra materia è in grado di promuovere o realizzare e che producono un nuovo e più efficiente livello di conoscenza della realtà ambientale.
Potremmo assimilare la complessità della terra ad una teorica sommatoria di sistemi apparentemente caotici. Nella realtà, grazie alla cultura ed alla sensibilità dei geografi si è sviluppata una valutazione sempre più attenta delle condizioni ambientali, dove l’imprevedibilità degli eventi e l’evoluzione stessa del sistema Terra suscitano nell’opinione pubblica maggiore attenzione, interesse e curiosità proprio in quanto si tratta della nostra casa comune.
Ecco il motivo per cui la Geografia ha la pretesa di essere un punto di osservazione della realtà, determinante nella formazione del sapere inteso come sistema complesso ed armonico.
La visione antropocentrica, a suo tempo pensata positivamente per porre al centro dello sguardo l’esperienza razionale dell’essere umano, sembra lasciare sempre più spazio ad un’idea di ciclicità processuale, dove la conoscenza sia perennemente innescata dalla curiosità, dilettantistica o geniale a seconda degli individui, ma che alimenta il motore della ricerca scientifica e, più in generale, quello della conoscenza nella vita quotidiana.