Ogni autunno gli studenti trovano legittimi motivi di protesta e aderiscono a cortei, manifestazioni o sit-in che a volte diventano anche un’occasione di dibattito e confronto all’interno della scuola.
Occupare le scuole è diverso: non solo è illegale, spesso non risulta nemmeno una scelta autonomamente gestita dagli allievi di un istituto ma è diretta, come sembra sia accaduto al Virgilio di Roma, da ragazzi più grandi che hanno addirittura organizzato rave party a pagamento.
Situazione deplorevole? No, molti genitori liquiderebbero tutto come una ragazzata e basta, anzi preferirebbero non parlarne troppo per non far fare alla scuola brutta figura.
La preside viene accusata di esprimersi con un linguaggio che criminalizza gli studenti, ma come si dovrebbero definire persone che subiscono in silenzio la volontà di un gruppo che, per sottolineare il suo potere, fa scoppiare bombe carta in cortile? Discrete? Solidali? Distratte? Prudenti? Dedite solo ai fatti propri?
Si parla da decenni della collaborazione tra scuola e famiglia per elaborare il progetto educativo delle scuole, ma per collaborare è necessario condividere alcuni principi fondamentali, ad esempio ritenere la scuola un luogo di lavoro e quindi pretendere il massimo rispetto per tutti gli operatori, evitando — è accaduto — di bersagliare con i cestini dell’immondizia gli insegnanti. La scuola eroga un pubblico servizio e quindi non si può impedire che questo avvenga, né si può permettere ad esterni senza permesso di utilizzare i locali e le strutture per usi, a dir poco, impropri.
I ragazzi, se non arriverà una comunicazione chiara e univoca con la quale gli adulti dichiarano la loro decisa disapprovazione per determinati comportamenti, avranno la certezza di essere sempre impuniti e penseranno che si possa commettere un atto illegale senza subire alcun tipo di sanzione e trovare difensori d’ufficio a iosa che, anziché prendere posizione contro l’interruzione di pubblico servizio, la diffusione di video hard, la vendita e l’uso di stupefacenti e alcool, stanno a sottilizzare sulle modalità di elezione del collettivo piuttosto che sul suo operato.
Sarebbe interessante partire da qui per un confronto sereno tra adulti in modo da individuare una base comune sulla quale modellare i regolamenti d’istituto, cercare di definire cosa si possa e cosa non si possa e non si debba fare e come sanzionare i contravventori senza poi spaccare il capello in quattro quando si tratta di applicare le regole.
In una delle scuole dove ho lavorato eravamo intervenuti per disgustosi episodi di bullismo che si concretizzavano in “cariconi”, l’assalto di un gruppetto a danno di uno studente, preferibilmente debole e timido. I genitori avrebbero preteso che le punizioni venissero calibrate sulla base dell’intensità della partecipazione: “Il mio ha dato solo uno schiaffo”, “il mio ha solo sputato”, “la mia stava solo a guardare e poi anche quello che stava sotto non poteva difendersi?”.
Sarebbe molto educativo, invece, che, dal primo giorno di scuola gli allievi, senza bisogno di decine di ore di “educazione alla legalità”, sapessero che le attività illegali sono illegali e basta, che chiunque arrechi un danno alle strutture o alle dotazioni della scuola è tenuto a risarcirlo, che tutte le persone vanno rispettate allo stesso modo e che, su questo, sono d’accordo anche mamma e papà.