Questa mattina, secondo gli ultimi rumors, dovrebbe finalmente uscire in Gazzetta Ufficiale il bando per il concorso a 2500 posti da dirigente scolastico.
Speriamo non sia l’ennesima fumata nera. Perché le scuole in reggenza sono, in alcune zone, oltre il 40 percento, con le complicazioni che tutti immaginano.
Nel frattempo, anticipando i tempi biblici della prassi italiana, la provincia autonoma di Trento ha già bandito un concorso per 30 nuovi dirigenti scolastici. Scelta ed opportunità legate all’autonomia trentina. Le funzioni per le domande sono state aperte il 21 novembre. In Veneto, tanto per capirci, le scuole in reggenza sono oltre 200, in provincia di Vicenza sono 43. Più di un terzo delle scuole in totale.
Una domanda sorge spontanea: prima o poi, sarà possibile che l’autonomia trentina possa diventare prassi ordinaria per tutte le regioni italiane? Oppure, si continuerà a gestire in modo centralistico tutto il personale, con tutte le contraddizioni che ben conosciamo?
Tanto per capirci: il regolamento per il concorso è del 3 agosto scorso (n.138), entrato in vigore il 21 settembre, ma il bando è ancora in naftalina. Immaginabile che un concorso possa chiudersi entro il prossimo 31 agosto, sapendo che il numero delle scuole senza dirigente aumenterà ancora, per i pensionamenti?
Con i numeri piccoli, come a Trento, ed una gestione oculata, come sappiamo sono in grado di fare, è pensabile che tutto possa concludersi entro il prossimo 31 agosto; ma nel resto d’Italia, se non si vorrà fare un concorso per finta, sappiamo che sarà quasi impossibile. Basti pensare alla storia dei ricorsi, con la richiesta di stabilizzazione dei concorrenti del 2011, facendo scorrere le graduatorie.
La conseguenza sarebbe gravissima: lo slittamento del nuovo concorso a chissà quando. Perché l’Italia è una repubblica non fondata sul diritto, ma sui ricorsi. Altro che certezza del diritto!
Resta poi tutta la questione di merito: a Trento un docente può aspirare ad un insegnamento o ad una dirigenza solo svolgendo il concorso in terra trentina, mantenendo la Provincia un margine di governabilità, secondo cv, per l’accettazione di altri docenti e dirigenti vincitori di concorso in altre regioni. Nel resto d’Italia è, invece, tutto un via vai, con regole prima blindate sui bandi, per la regionalità dei concorsi a Ds, e poi, nei fatti, aggirate da qualche circolare od emendamento nascosto chissà dove in qualche provvedimento. Con l’ovvia conseguenza che la selettività dei veneti, ad esempio, viene poi smentita dal permissivismo di altre regioni, con nomine interregionali.
C’è dunque il merito delle modalità selettive, eque per tutti, e poi c’è il merito dei profili dei dirigenti sulla base dei quali costruire poi la selezione, sapendo che non è lo stesso, al di là degli aspetti organizzativi e gestionali, fare il preside in un istituto comprensivo ed in una scuola superiore. La dirigenza unica, proprio per queste ragioni, non è oggi in Italia tutte rose e fiori. A meno di considerare il lavoro del dirigente solo in termini burocratici, come sta avvenendo da qualche tempo.
La forma valutativa dei presidi, ad esempio, in che misura non si limita a considerare solo il dato compilatorio delle carte (Ptof, Rav, Pdm, manuale della qualità Iso, Dvr, ecc.)?
Quando chiedo a docenti bravi se intendono candidarsi alla dirigenza, vedo che molti tentennano preoccupati da questi aspetti burocratici, dalle mille responsabilità, dalla perdita del sonno, mentre lamentano che il rischio è quello di perdere lo specifico del ruolo di preside: le capacità di relazioni, di leadership positiva, di comunicazione, del pensiero lungo, del fare squadra. Non solo: pensiamo solo alla sensibilità culturale e pedagogica necessarie per saper entrare nel cuore, con rispetto ma anche efficacia, del lavoro docente. Che è come dire: non c’è solo il lato gestionale-organizzativo nella vita del preside. Anzi.
A questo punto, chi è in grado di valutare, una volta chiarito il profilo, i candidati? O si farà la corte, per pochi spiccioli, ai presidi in pensione, o a chi, magari, cerca una qualche rivincita, essendo in crisi nella propria scuola? Non dovrebbe essere questa, una volta data la nitidezza del profilo, la vera priorità, scegliere cioè i valutatori? Invece non sembra così, viste le scelte fatte negli ultimi concorsi per presidi e per docenti. Un caos, facilmente attaccabile poi con i vari ricorsi.
Credo, per chiudere, che manchi al Miur chi sia davvero in grado di sovrintendere a questo passaggio centrale della vita delle nostre scuole. La via d’uscita, forse, ce la suggerisce la via trentina, cioè l’autonomia sussidiaria, quindi l’etica delle responsabilità.
Difficile pensare che la logica centralistica sia in grado di auto-riformarsi, al fine di rendere possibile questa autonomia. Con una politica, poi, sempre più latitante, capace solo di promettere tutto a tutti, per una sempiterna campagna elettorale, impossibile anche solo immaginare un soluzione plausibile al prossimo programmato caos. Il tutto per un solo motivo: la cultura amministrativa è sì necessaria, ma non sufficiente per coordinare e gestire la complessità del mondo della scuola.
Per questo motivo, il ruolo e la responsabilità del dirigente scolastico non è sovrapponibile con le altre dirigenze, tutte amministrative, della pubblica amministrazione. E’, invece, molto più importante, decisiva, per la vita dei nostri ragazzi e delle nostre famiglie.
Ma a chi importa di tutto questo? Al di là del solito volontarismo di tanti docenti e presidi, cioè di coloro che tengono in piedi la scuola?