Il 4 aprile del 2009 al Circo Massimo si svolge una grande manifestazione sindacale. Gli organizzatori pubblicano le cifre: due milioni e 700mila convenuti. Nello stesso luogo, il 30 gennaio 2016 viene indetto il Family day, per protestare contro il disegno di legge Cirinnà sulle unioni di fatto. Dal palco, durante l’incontro, si annuncia trionfalmente la presenza di due milioni di persone. Numeri impressionanti. Così impressionanti da indurre ad una banale verifica sulla capienza del grande circo romano. Ammettiamo pure che per ciascuno dei circa 85mila mq si stringessero, stipati come sardine, quattro manifestanti (di più è impossibile per la legge dell’impenetrabilità dei corpi): non si arriva a 350mila. Si tratta di “fake news”? Sì e no. Sì, se si considera il contenuto della notizia; no, se si considerano le forme della sua diffusione. Con “fake news” oggi indichiamo infatti non tanto la produzione di una notizia falsa, quanto la sua comunicazione orizzontale in rete.
La domanda allora è: la forma attuale e inedita delle fake news modifica la sostanza del fenomeno? Ne aggrava le conseguenze negative? Deturpa irrimediabilmente lo spazio dove si formano idee e orientamenti, fino ad alterare le regole della competizione democratica?
Gli unici studi sul “fattore” fake, compiuti nel corso delle ultime presidenziali americane, ne hanno mostrato la sostanziale irrilevanza sui comportamenti elettorali; la bugia, quanto più rapidamente si diffonde, tanto più rapidamente viene smentita, e chi si ostina a crederle è perché vuole farlo. Il mezzo stesso parrebbe insomma garantire una specie di protezione anticorpale contro il contagio della menzogna. Lo smascheramento del falso, utilizzando lo stesso canale che ha permesso il suo propagarsi, ne annulla gli effetti. La somma algebrica, alla fine, è zero. Allarme eccessivo, dunque? Quella sulle fake news è a sua volta una fake news?
In verità un problema c’è, ma va formulato correttamente. Dalle lettere apocrife con cui lo spartano Pausania fu accusato di intelligenza con il nemico (V a.C.) alla Donazione di Costantino (IX d.C.), dai “Protocolli dei savi di Sion” alla prassi sistematica della disinformatia sovietica, la produzione di falsi ha sempre caratterizzato la sfera pubblica e inquinato la politica, a volte con conseguenze tremende e durature. Non senza limiti e contraddizioni, il sistema democratico, in virtù della libertà di espressione, ha storicamente consentito il concorso di soggetti diversi alla costruzione di uno spazio di discussione e di deliberazione, nel quale potessero dialogare “verità” plurali e tra di loro in conflitto. La “versione” ufficiale dei fatti è bilanciata dal contropotere di un’informazione indipendente. Il libero dibattito non assicura affatto l’emergere della verità, ma permette se non altro all’opinione pubblica l’imputazione delle diverse interpretazioni e un certo controllo sulla loro plausibilità.
È proprio questo che la rete cancella. Spazio virtualmente infinito del confronto, il web si presenta infatti, costitutivamente, come la sua negazione più profonda, omologando tutte le posizioni nell’indistinguibilità della fonte e nell’anonimato della voce. Qui si annida la più pericolosa di tutte le mistificazioni (così potente e illusiva da generare un diffuso e trasversale consenso), che mette a rischio radicale uno dei pilastri della democrazia partecipativa — la possibilità di elaborare ed esprimere il proprio libero convincimento — proprio mentre promette di garantirne la massima realizzazione. In uno spazio nel quale la comunicazione corre priva di soggetti che si assumono la responsabilità di ciò che dicono; dove una voce vale l’altra, in quanto non vi sono criteri di giudizio sull’attendibilità di chi la emette, né gerarchie fondate sul prestigio e sull’autorevolezza, spazzate via da qualsivoglia meccanismo di mediazione; in uno spazio che diventa arena dell’indistinzione delle idee e parodia acrimoniosa della sfera pubblica, lì si consuma la fine del dibattito pubblico.
Quando falsa notizia e smentita si annullano a vicenda, lasciando il vuoto intorno a sé, resta solo l’illusione prodotta dalla madre di tutte le fake news: nella piazza globale del web, “uno vale uno”.
E la somma algebrica è zero.