Ci sono frasi che si vorrebbe aver pensato, o scritto, per la profondità definitiva che riescono ad esprimere. Ci sono frasi e parole oltre le quali, come per le colonne d’Ercole, nec plus ultra.

“Non è contemplata in alcuna normativa vigente che si possano impartire lezioni di catechismo ad alunni di scuole statali” è una di queste frasi immortali.



Al netto dell’incerta concordanza, di queste parole sarà giustamente orgogliosa l’insegnante che l’ha inserita in un esposto inviato all’Usr con il quale si denunciava quanto accaduto all’Educandato Statale “Maria Adelaide” di Palermo: alcune famiglie che avevano difficoltà a far frequentare l’attività di catechismo ai propri figli nelle parrocchie di appartenenza, si erano messe d’accordo per radunare tutti i piccoli nei locali della scuola, per un’ora la settimana. Ovviamente, niente soldi, nessuna interferenza con le attività didattiche, nessuna frequenza obbligatoria. Insomma, la scuola sarebbe venuta incontro, come si suol dire in questi casi, ad una “esigenza del territorio”, realizzando un’attività di pubblico interesse, con carattere precario e non definitivo e con valenza educativa; esattamente le caratteristiche che deve avere una iniziativa per potersi svolgere in aule scolastiche in orario pomeridiano. 



Non c’è stato nulla da fare, l’attività è saltata perché “non è contemplata in alcuna normativa vigente che si possano impartire lezioni di catechismo ad alunni di scuole statali”.

Chissà se don Milani, quando faceva scuola ai suoi ragazzini, si sarà chiesto se fosse contemplato in alcuna normativa vigente che si impartissero lezioni di italiano o geografia nei locali della canonica di una chiesa. E se anche se lo sarà chiesto, è difficile credere che se ne sia preoccupato più di tanto, considerato che al prete di Barbiana interessavano più le persone concrete che le teorie.



Perché la questione è proprio qui. 

All’indomita rappresentante sindacale sta a cuore, molto a cuore, una sola idea, che la scuola sia laica, e a questa bellissima idea è disposta a sacrificare tutto, proprio tutto.

Innanzitutto, l’idea stessa di laicità, che non dovrebbe significare cancellazione di identità ed esperienze ma possibilità di espressione per tutte. E invece, magari in nome di presunti diritti di minoranze (che le minoranze stesse si guardano bene dal rivendicare), non c’è più identità culturale, religiosa, di genere che trovi spazio in progetti ed iniziative pubbliche, soprattutto se ospitate tra le aule scolastiche. A tal proposito, ce n’è un’altra di quelle espressioni immortali, escogitata in un comprensivo di Milano per festeggiare il Natale senza menzionarlo: “la grande festa delle buone feste”. Si saranno detti: meglio volare basso, a pensarci bene, non siamo certi che fosse contemplato in alcuna normativa del tempo che Dio si facesse bambino in una stalla…

Il fatto è che le ideologie, come scriveva Hannah Arendt, “ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello svolgimento dalla premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunché, dato che tutto è compreso in questo processo coerente di deduzione logica”.

La zelante insegnante di Palermo, nel perseguire rigorosamente la sua idea, non ha considerato per nulla le concretissime persone delle famiglie che avevano proposto l’iniziativa. 

Famiglie che ora, magari, dovranno spendere energie e soldi per i complessi spostamenti dei loro piccoli. Oppure, laicamente, rinunceranno.